‘Lo scorso inverno il Principe Hrobarick […],

tentò d’ingaggiarmi per

ritrovare una bella ragazza che, stufa delle sue volgari avance,

era fuggita dal ballo, perdendo una scarpetta.

Fu difficile convincerlo

che gli serviva un cacciatore, non un witcher.’

(A Question of Price)

‘[…]… E qui? Cos’é questo?’

L’incisione mostrava un’arruffata mostruosità con occhi enormi e

denti ancora più grandi, a dorso di cavallo. Nella mano destra, l’essere

mostruoso brandiva una spada notevole, nella sinistra,

una borsa di denaro.

“Uno stregone” borbottò la donna. ‘Da alcuni detto witcher.”

(The Edge of the World)

Geralt di Rivia è leggenda fra i Witcher. Cacciatore professionista delle diverse mostruosità che circolano per le terre selvagge (e non solo), si pone appena al di là del normale essere umano poiché è frutto di mutazioni alchemiche che gli hanno sbiancato i capelli, indorato gli occhi, migliorato forza e i riflessi. Nel suo equipaggiamento vi sono due spade - una d’argento per i mostri e una d’acciaio per tutti gli altri nemici - e varie pozioni alchemiche che possono migliorare le prestazioni di Gerald; infine, egli può ricorrere ai “cinque segni magici”, le cui energie sono utilizzabili in diverse situazioni.

La sua conoscenza e il suo potere, come accade per tutti i witcher, vengono spesso fraintesi e quindi temuti o bramati.

L’inventore di questo personaggio - parente letterario di Elric di Melnibonè ma anche di Anomander Rake - e del suo mondo, è l’autore polacco Andrzej Sapkowski che ha visto pubblicare queste prime avventure di Gerald nel 1993. The witcher ha assicurato a Sapkowsky una giusta fama internazionale: internazionale ma non italiana, tanto per “non” cambiare.

Infatti in Italia è approdato solo l’omonimo video-gioco di ruolo, prodotto dalla software house polacca CDProjekt RED STUDIO, pubblicizzato con il significativo motto “non ci sono bene o male, solo decisioni e conseguenze”. Il gioco, uscito in Europa nell’Ottobre 2007, ha venduto 1.200.000 copie in tutto il mondo.

The Last Wish è una raccolta di racconti basati su vari episodi della vita del protagonista, organizzati senza un preciso ordine cronologico e intervallati da più frammenti di un’unica storia intitolata The Voice of Reason, che narra la convalescenza di Gerald nel santuario di Melitele, Dea della Terra. Una struttura complessa ma indubbiamente efficace.

Questa la sequenza dei racconti:

The Voice of Reason 1

The Witcher,

The Voice of Reason 2

A Grain of Truth,

The Voice of Reason 3

The Lesser Evil,

The Voice of Reason 4

A Question of Price,

The Voice of Reason 5

The Edge of the World,

The Voice of Reason 6

The Last Wish,

The Voice of Reason 7

Le singole vicende del passato di Geralt di Rivia ce lo mostrano in piena attività nella prima storia, The Witcher, che è poi quella trasposta in computer grafica nel filmato d’inizio del videogame; tuttavia nello scritto c’è molto di più.

In A Grain of Truth Geralt è per la prima volta investigatore dell’animo umano: serietà e facezia, azione e introspezione, imprevisti e finale a sorpresa fanno il carattere della vicenda.

In The Lesser Evil scopriamo la dimensione della solitudine che il nostro eroe deve vivere.

In A Question of Price abbiamo una gara davvero pirotecnica di witty speech fra Geralt e il suo augusto committente, in una baraonda in crescendo che termina con un capovolgimento frontale. Chi l’ha detto che per i colpi di scena bisogna per forza uccidere un personaggio?

The Edge of The World è invece la prima avventura che vede il Witcher insieme al suo grande amico, il bardo Dandillion: i due saranno presi in uno “spinoso” (è proprio il caso di dirlo) caso di ardui rapporti di vicinato.

Infine in The Last Wish il pandemonio con sorpresa finale, raggiunge dimensioni, ritmo e conseguenze addirittura superiori rispetto a quanto prima letto.

Nel frattempo, nei vari micro-episodi di The Voice of Reason, Geralt recupera la salute, e pensa al suo passato, e al futuro che può attendersi, gode della visita del suo amico bardo, riceve una stentorea sfida e oscuri ammonimenti sul suo destino. Intanto però, i fanatici di turno non perdono tempo nel dimostrarsi tali.

Difficile era la vita di Geralt di Rivia, prima di trovare momentaneo ricetto nel santuario, non meno lo sarà dopo. Già appena uscito dalle porte del sito sacro, eccolo obbligato ad affrontare l’ennesima sfida.

In questo modo apprendiamo molte cose sul protagonista: ogni episodio di The Voice of Reason suscita alla memoria del witcher un frammento del suo passato, che ci viene narrato nel racconto successivo.

Sapkowsky offre storie all’insegna della sorpresa e del continuo capovolgimento di toni e impressioni e scivola disinvolto dalle situazioni tese a quelle conviviali, dall’umorismo all’horror, dal dolente, al fantastico più brillante: è sempre presente infatti un velo di apparenze da strappare. Le vicende che coinvolgono il nostro antieroe ricordano molto le investigazioni di genere hard boiled, ove il protagonista è un solitario senza paura ma con qualche macchia, dal carattere duro e dalla lingua tagliente non meno delle sue spade; duri e foschi sono anche gli sfondi, i personaggi con cui interagisce, i casi di cui si occupa.

In questo contesto, chi è il mostro e chi l’umano? Chi nella vasta schiera d’incontri meriterà la condanna del Witcher o il suo apprezzamento, la sua spada o la sua amicizia, se non addirittura il suo amore?

C’è anche del fantasy classico in queste storie: elfi con le orecchie a punta e nani con barba e caratteraccio. Il mondo è medievaleggiante, animato da una forza magica naturale chiamata Force. Ma il già visto qui è un punto di partenza per approfondire e sorprendere in chiave personale.

Gli elfi, infatti, sono minoranza etnica in un mondo di umani non proprio teneri di cuore e reagiscono alla stregua di una comunità del mondo reale, scacciata dalle proprie case e, forse, in declino. I sovrani sono davvero potenti, ma il loro potere spesso nasconde scheletri nell’armadio e certo il rapporto incestuoso da cui nasce la figlia di Re Foltest (essendo il libro uscito nel ’93 come già detto), anticipa di qualche anno l’amore proibito fra Cersei e Jamie Lannister.

I mostri sono un’infinità (dai classici Fantasy a quelli di tradizione slava come le rusalka), e costituiscono sicuramente un pericolo, ma gli umani tengono loro buona compagnia. Se gli uomini si danno allo stupro, al raggiro, all’assassinio, al massacro del diverso, il limite fra umano e mostruoso vacilla e Geralt, che non è né mostro né del tutto umano, vigila su questo confine e cerca di rispondere all’ardua domanda: “Chi è il vero mostro?”

Inoltre la coerenza e il realismo psicologico ben applicati dall’autore, mettono al centro del rapporto uomo-donna personaggi femminili credibili e attivi.

Sono presenti anche cavalieri dall’armatura scintillante, appartenenti a ordini religiosi e continuamente addestrati al combattimento, ma sempre un po’ fanatici, vagamente boriosi, alquanto xenofobi. Insomma, dei veri cavalieri medievali e non i classici paladini farlocchi di certa produzione già vista.

Lo stile narrativo è “visivo”, capace di descrivere in modo esteso le mosse di combattimento e di rappresentare con efficacia le situazioni più diverse vissute dal protagonista. Talvolta vedere gli eroi in scene più quotidiane - come andare a pesca, partecipare a una festa di paese o cantarsi storie attorno al fuoco - invece che impegnati nella solita lotta contro il signore oscuro, sopra cataste di nemici trucidati, può risultare rinfrancante.

Nel complesso, l’opera di Sapkowsky rappresenta un chiaro esempio di come un racconto Fantasy possa giocare con gli stereotipi innovandoli dal di dentro e non si debba necessariamente rinchiudere nei target anagrafici: parlare “solo” a un pubblico di adolescenti (o young-adults) o “solo” di adulti. Con un risultato degno di ogni rispetto.

NdR: Questo libro è stato recensito prima della sua traduzione in italiano con il titolo Il guardiano degli innocenti.