Più che un libro, Unika sembra un’operazione commerciale nata sulla moda del fantasy. Non solo perché attorno al libro è fiorito contestualmente un merchandise che normalmente viene prodotto  quando un volume diventa un bestseller, ma proprio per l’impostazione del volume stesso.

Abbiamo quasi cinquecento pagine con una storia esilissima e trita (una lotta fra angeli del Bene e un angelo decaduto - sounds familiar?) che, invece di avere un’ambientazione a contorno, come sarebbe normale, sembra il pretesto per supportare i paesaggi che dovrebbero farle da sfondo. A Sefiria, l’Altro Mondo dove si svolgono le vicende di Unika, è tutto di una perfezione estrema: ovunque è un tripudio di bellezza e iper-aggettivazione, toni pastello, sublimi profumi e soavi incanti. E qualche trovata fantasiosa sarebbe anche simpatica, come quella del coreografico stratagemma escogitato delle fate-ninfe per evitare che malintenzionati trovino la strada per l'Oracolo. Ma quando questo tripudio ricorre in quasi ognuna cinquecento pagine, la stucchevolezza diventa pari a quella indotta da un’indigestione di quaranta scatole di cioccolatini Lindor. E la verbosità, anche su dettagli pressoché inutili, unita alla profusione di metafore e a ‘perle di saggezza’ stile Baci Perugina, danno il definitivo colpo di grazia, allargando gli sbadigli del lettore in maniera esponenziale. L’unico momento in cui si avverte un filo di tensione narrativa è nel finale, ma a quel punto il lettore è già talmente in coma che non si accorgerebbe neppure se entrasse improvvisamente in scena Jack Nicholson presentandosi con la ben nota battuta “Heeeere’s Jooohnny!”.

Anche i personaggi lasciano perplessi. Non è solo che non risultano credibili in quanto fanno spesso cose stupide (tipo seguire senza motivo il primo sconosciuto che si presenta loro dicendo di volerli aiutare, o addentrarsi nel luogo dove sanno benissimo di non doversi recare, per nessun motivo al mondo) o addirittura ridicole o incomprensibili dal punto di vista del significato logico di insieme (nonostante la sintassi impeccabile). Il fatto è che i protagonisti soprannaturali sono l’apoteosi di tutte le qualità possibili e immaginabili (tranne l’angelo cattivo che, all’inverso, è l’apoteosi dell’abiezione e non a caso ha le sembianze di un serpente), che ci vengono descritte con dovizia ossessiva e reiterata di particolari - fisici e introspettivi – e alla fine fanno pensare un po’ alla descrizione del Colonnello nella gag di Cochi e Renato (“una bella persona, alta, sprezzante, con tutti i gradi, con tutto il suo incedere…”). Mentre i tratti e l’indole caratterizzanti i due ragazzi umani paiono scaturire banalmente dalle preferenze musicali della misteriosa autrice che si cela dietro lo 'pseudonimo' di E.J. Allibis: così la femminuccia musicista ha una chioma rossa e un'insolita postura sghemba, quando suona il piano, che sembrano prese di peso dalla figura di Tori Amos, mentre si capisce subito che il maschietto scanzonato e ribelle avrà un ruolo a fianco dell’angelo-serpente malvagio perché viene immortalato durante l'ascolto, via mp3, di un vecchio pezzo dei Duran Duran intitolato, manco a farlo apposta, Union of the Snake (lirica il cui senso originario viene peraltro snaturato e piegato alle esigenze della trama).

Il volume è autoconclusivo, ma è comunque il primo tassello di una trilogia: ulteriore segno, oltre al merchandise già citato in apertura, che De Agostini punta davvero sul prodotto. Prodotto che sembrerebbe indirizzato a un pubblico young adults, ma che difficilmente potrà piacere a lettori oltre i dieci anni e, anche fra questi, a lettori di sesso maschile. Eppure, anche rispetto a questa readership, ci sono saghe infinitamente più pregevoli, come quella di Fairy Oak di Elisabetta Gnone. Benché la trama sia anche lì elementare e il mondo ivi tratteggiato sia tutto rosa e zucchero filato, ci sono molti elementi che diversificano quell'opera da Unika e che la  rendono di gran lunga migliore: anzitutto un linguaggio semplice, ai limiti del didascalico (non a caso la Gnone è anche sceneggiatrice), laddove invece Unika ha un vocabolario piuttosto ricercato per un target così giovane; poi l'assenza di sottolineature ossessive sulla perfezione di certe ambientazioni; e ancora: la funzionalità di queste alla trama e non viceversa, come succede in Unika; infine, l'assenza di una volontà di costruire dei personaggi che rispecchino i ‘gggiovani d'oggi’, come invece avviene in Unika con trovate francamente risibili tipo l’angelo istruttore che pratica il Tai Chi, o la sirena Aqua tanto ‘cool’ grazie al suo piercing all’ombelico, oppure ancora col ricorso a soluzioni già viste come la storia della suddetta sirena e del suo amore tragicamente irraggiungibile, che ricalca tanto quella di Lady Hawke e che è elemento di sicura presa sui primi batticuori degli adolescenti.

Ancora una volta, dunque, ci si trova avanti a un grosso editore che cerca di interpretare il Fantastico nel modo sbagliato, non conoscendolo e puntando quindi su un volume che è un’accozzaglia di cliché talmente spremuti che ormai non fanno neppure più stille di succo, ma solo segatura.