Gli Eroi che danno il titolo al romanzo non sono i valorosi protagonisti della storia, ma una collina con un cerchio di pietre coperte di muschio, un henge come quelli che compaiono qua e là in Britannia.

Un posto antico, dove una volta qualcuno pregava per tempi migliori.

In mezzo agli Eroi forse abita ancora una vecchia magia, forse ci sono le tombe di gloriosi combattenti, ma la cosa importante è che questo vecchio e quasi dimenticato luogo del Nord, al centro di una pianura, costituisce un punto strategico fondamentale per l’annosa guerra in corso fra l’Alleanza (terre del Sud) e gli Uomini del Nord: The Heroes di Joe Abercrombie racconta tre giorni di battaglia violenta attorno e sopra questa collina, nelle case e nelle strade della cittadina di Osrung, in mezzo alle paludi, sui ponti e sui terreni fradici per la pioggia battente.

L’ambientazione grintosa della trilogia The First Law viene riproposta in un romanzo autoconclusivo. Il focus dell’azione è spostato nelle terre settentrionali, dove il capo è adesso Dow il Nero, il cui nome dice tutto. La storia ruota su tre personaggi principali: Curden lo Strozzato, veterano del Nord che cerca sempre e comunque di “fare la cosa giusta”; Bremer dan Gorst, ex campione del re dell’Alleanza, adesso in disgrazia; il Principe Calder, che desidera il potere, con ogni mezzo, ma i combattimenti proprio non fanno per lui.

Tuttavia, parlare di protagonisti e comprimari è fuori luogo: ogni figura che Abercrombie ci mostra possiede una caratterizzazione “di peso” e un posto negli eventi - grande o piccolo, sopra o sotto il fango del campo di battaglia - comunque significativo.

Il military fantasy non è un genere nuovo. Glenn Cook, Steven Erikson e George Martin ne sono alcuni esponenti e, in fin dei conti, ogni fantasy epico, a partire da Il Signore degli Anelli, racconta battaglie, morti, vittorie e sconfitte.

Tuttavia Martin, pieno di cavalieri e principesse è comunque glamour, Erikson ha quel respiro epico - filosofico che allarga il cuore, Cook è realistico ma anche molto “magico”.

Abercrombie - almeno in questo romanzo - è un caso a sé: vola basso, molto più in basso degli altri sui campi di battaglia. Niente gloria, niente eroi, solo sangue, sudore, morte e puzza di morte. La sua è una fantasy al contempo militare e antimilitarista, dove non solo il messaggio “la guerra fa schifo” è reiterato fino alla nausea ma ne viene mostrato il perché nei dettagli più crudi.

Non ci sono buoni o cattivi ma, come dice lo stesso autore, solo un diverso tipo di feccia, che sia soldato semplice o generale.

The Heroes  non è un romanzo per signorine, l’autore con arte e maestria è capace di mostrare  con efficacia il volto più sudicio e nauseante della guerra.

Il lato propriamente fantasy, quello con forze arcane e sortilegi, è ridotto ai minimi termini. Il Primo Mago Bayaz sembra piuttosto la quintessenza del politico (forse è la stessa cosa) e la strega di Dow il Nero fa qualche apparizione/sparizione con botto finale, ma il senso del magico è trascurabile e viene inghiottito dal principale punto di forza del romanzo: il realismo, nelle narrazioni, nelle azioni e nello scavo psicologico nei personaggi.

L’autore si disimpegna con precisione fra armi e combattimenti, mostra padronanza di tattiche belliche e conoscenza dei tempi reali di una battaglia: la noia delle pause, il nervosismo dell’attesa, la paura e la confusione negli scontri, le reazioni imprevedibili di chi fa lo sporco mestiere della guerra. Il tutto contornato e intessuto da intrighi politici, tradimenti e faide che attraversano entrambi gli schieramenti.

The Heroes è un romanzo corale dove l’umorismo cinico abbonda e il sangue scorre a fiumi. Come in ogni guerra reale, si muore facilmente e quasi sempre senza gloria. Le singole vicende, narrate da altrettanti punti di vista, non hanno niente di epico, come i personaggi hanno poco, per non dire niente, di eroico: il risultato è una cronistoria brutale, dove si mescolano i cliché della fantasy eroica, la percezione di quello che probabilmente è stato l’incubo Vietnam per gli americani e il realismo crudo delle prime scene di Salvate il soldato Ryan. Tutto reso con efficacia da uno stile asciutto e diretto che non lascia nulla in sospeso.

Ciò è molto verosimile, ma sembra che Abercrombie metta la legge di Murphy come arbitro di ogni situazione, fino all’eccesso. Per questo motivo manca una vera e propria trazione emotiva verso i personaggi: sono tutti in qualche modo “guasti”, il ragazzo che si salva per codardia e riesce a tornare a casa come il veterano che cerca una vita “normale” lontana dalla guerra ma non ne è più capace.

Un limite all'opera, se proprio glielo vogliamo trovare, è proprio quest’ossessivo ricercare e descrivere il peggio di ogni cosa, di ogni situazione, di ogni personaggio: una piramide con la punta rivolta in basso, dove si può solo scendere sempre più nel fango. Nessun aspetto della follia, della febbre e dell’orrore della guerra viene risparmiato al lettore e ogni possibile lato consolatorio è evitato con cura: quello che si ottiene si paga sempre a caro prezzo.

La sensazione finale sfocia in una specie di supplica interiore:

“Joe, lo so che mi avevi avvertito, ma basta con le descrizioni di ventri tagliati da cui guizzano fuori budella che il proprietario cerca di ricacciarsi dentro, corpi aperti in due fra schizzi di sangue e altro, crani fracassati e trafitti nel fango accompagnati da urli, gemiti, rumore di colpi e squarci: volendo, una sola di queste descrizioni sarebbe sufficiente per recepire il messaggio. Scrivi da dio e di sicuro leggerò gli altri tuoi libri però… Cerca di dare un attimo di respiro all’Affezionato Lettore.

Comunque sia, noi che apprezziamo la tua opera non siamo ipocriti come non lo sei tu: a proposito di The Heroes hai affermato: Voglio un fantasy con tutta la grinta, e la crudeltà, e l'umorismo della vita reale [...] Voglio sangue, sudore e lacrime [...] Voglio personaggi egoisti, imperfetti, complicati e imprevedibile come sono le persone reali.

Penso ci si possa ritenere tutti soddisfatti”.