Anno 1165 circa dal Sonno di Burn: la Dea Dormiente, Signora della Terra, è sempre  più infettata dai veleni del Dio Storpio, mentre le molteplici storie iniziate nei libri precedenti convergono con passo inflessibile verso il finale.

In Venti di Morte, settimo volume di La Caduta di Malazan firmata Steven Erikson e pubblicato da Armenia in due puntate distinte, troviamo almeno cinque trame principali e varie sottotrame: personaggi vecchi e nuovi appaiono e scompaiono fornendo il loro tassello all’intricato puzzle che, ormai lo sappiamo, è lo schema caratteristico dell’intera saga.

Lo scenario è l’impero Letherii, conquistato dalla razza umanoide Tiste Edur.

Quella che sembrava una vittoria totale dei Figli dell’Ombra e del loro folle sovrano Rhulad Sengar, insediatosi grazie alla forza delle armi e alla magia dell’Incatenato, si rivela tale solo di nome:  la vecchia classe dirigente è tutt’altro che sconfitta e mantiene salde le redini del potere politico-economico attraverso  corruzione, intrighi e violenze più o meno subdole.

L’Imperatore dalle Mille Morti è sempre più isolato, benché i superstiti del suo clan -  inviati alla ricerca di campioni per i duelli – siano rientrati. Con loro sono giunti due guerrieri molto particolari, Karsa Orlong il Toblakai e Icarium il Jhag.

Continuano anche gli esilaranti (ma fino a un certo punto) maneggi della coppia Theol –Bugg, impegnata a distruggere l’economia lether con l’aiuto della Corporazione degli Acchiapparatti, costretta alla clandestinità.

Intanto, fra i monti della Rosa Blu, il gruppo di eterogenei fuggitivi - Seren Pedac, Silchas Ruin, Udinaas, Fear Sengar, Wither e Kettle -  prosegue la sua marcia, mentre nell’Awl’dan il leggendario guerriero Maschera Rossa torna per riunire il proprio popolo decimato e dare battaglia agli antichi invasori.

In contemporanea, l’Errante infesta L’Ultimo Domicilio assieme alla Strega Piumata, la terribile progenie Eleint Soletaken di Scabandari Occhio di Sangue finalmente si mostra, Cotillon riceve strani “ospiti” nel Regno dell’Ombra e presso la seconda Fortezza della Fanciulla, all’improvviso, in una notte piena di fiamme giunge una flotta straniera che ha tagliato ogni ponte alle proprie spalle: i Malazan sono sbarcati a Lether.

Parlare di un mezzo romanzo non è facile, specialmente quando si tratta del ciclo Malazan.

La narrazione, in pieno corpo centrale della serie, è così intricata che interromperla in un punto o in un altro forse cambia poco, ma  cogliere il senso di tutti gli eventi è prerogativa di qualche Elder God particolarmente potente: qualsiasi riassunto, per quanto minuzioso, scalfisce appena la superficie.

Prendete George R.R. Martin e moltiplicatelo per China Mièville, il risultato è la fantasy di Steven Erikson: epica, eroica e allucinante, avvolgente più di uno schermo a 3D, intensamente colorata sebbene le tinte dominanti siano quelle dell’oscurità e del sangue.

Tuttavia, Venti di Morte sembra non avere lo stesso mordente dei precedenti volumi: informazioni sull’universo Malazan, su pantheon, cronologia, sottotrame e personaggi  - sempre elargite col contagocce - bombardano ora il lettore in quantità tale da risultare inafferrabili a una prima lettura e forse anche a una seconda: questo dà una sensazione di stallo.

Alcune  grandi figure dei  precedenti romanzi  sembrano immerse nella folla di una grande piazza in cui tutti si sono dati appuntamento, con l’effetto di apparire rimpicciolite. Inoltre, certe divinità antiche forse dovevano rimanere ancora un po’ in incognito e qualche splendido ascendente femmina dal sangue di drago era  più maestoso in veste leggendaria che non ora in carne e ossa. 

Ai personaggi (e non solo) sono ovviamente associati altrettanti nomi, non sempre facilissimi da ricordare, anche perché Erikson sembra seguire un particolare criterio di base: le caratteristiche di una razza si riflettono negli appellativi, spesso composti.

Dagli “occidentali” Malazan si passa ai più esotici Letherii, agli umanoidi Tiste Edur  e Tiste Andii, fino a semidei mutaforma come gli Eleint Soletaken, a razze aliene come i K’Chain Che’ Malle, ai non morti T’lan Imass e così via.

Sebbene queste scelte linguistiche si integrino alla perfezione con lo straordinario mondo creato dall’autore, la loro memorizzazione non è semplicissima e spesso il lettore  non può fare a meno di chiedersi con un briciolo di panico “questo chi era?”.

D’altra parte un volume di collegamento si rendeva necessario: l’autore canadese sta schierando le proprie truppe d’aria di terra e di mare per il gran finale, e non è escluso che qualche vigoroso colpo di timone sorprenda il lettore già nella seconda parte del volume.

Il titolo stesso (Reaper's Gale in originale)  contiene una sinistra premonizione: se l’allusione è al detto "those who sow the wind reap the whirlwind", gettare i semi della futura tempesta richiede un certo tempo ma possiamo presumere che il Mietitore giungerà in grande stile a raccoglierne i frutti.

Nel complesso, la sensazione di fondo continua a essere appagante: che si tratti di descrizione o azione, battaglie o sortilegi, piccole o grandi storie di vita e di morte, Erikson “lo sa fare meglio”.