Il saggio di Laura Cassarà e Sebastiano D'Urso, rispettivamente ingegnere edile e ricercatore universitario alla facoltà di Architettura di Catania, vuole illustrare i rapporti, le relazioni che si susseguono dai tempi più remoti e lo stretto legame che intercorre tra il mondo dell'architettura e il mondo del fumetto, portando a esempio opere che in qualche modo possiamo considerare manifesti di questo connubio.

Benoît Peeters
Benoît Peeters
Il libro si apre con un breve saggio introduttivo del francese Benoît Peeters, esperto e saggista di letteratura disegnata oltre che critico letterario, sceneggiatore, fumettista, co-autore, negli anni ottanta, della saga Les Cités Obscures.

Fumetti, architettura e spazio mentale lancia in poche pagine degli input e propone delle considerazioni che il lettore troverà sviluppate dai due autori italiani nel loro saggio, che si suddivide invece in cinque parti dopo una loro brevissima introduzione.

In Interferenze d'arte si parla di architettura e fumetto e della loro crisi culturale, perché da sempre scontratesi con una non poi così necessaria collocazione accademica: sono forme d'arte? Che ruolo è quello del fumettista e quello dell'architetto? Che responsabilità hanno quando lavorano con matita e carta (o al computer) e quando poi prende forma definitiva la loro opera? Cosa sono fumetto e architettura se non, proprio, alla fine, uno strumento tangibile che accoglie contaminazioni di ogni tipo e racconta senza parole qualcosa o del mondo di qualcuno? 

Il disegno del fumetto e d'architettura è probabilmente il capitolo più tecnico ma al tempo stesso più affascinante perché propone di guardare all'architettura come racconto, proprio perché in epoche diverse l'architetto stesso si è servito del“racconto” per proporre la propria idea progettuale. Un esercizio che ancora oggi si richiede nelle facoltà di architettura anche se con una certa fatica perché paradossalmente si sta perdendo la gioia del disegno, la capacità di insegnare a raccontare. Ed è proprio in questo esercizio che, però, si ritrova una grande vicinanza col fumetto perché si lavora di immagini, pochi testi perché deve parlare, appunto, l'immagine da sola, deve trasmettere nel modo più efficace possibile se stessa e non c'è un modo univoco, e l'architetto, come il fumettista, deve compiere lo sforzo creativo di spiegare al meglio la propria idea lavorando sulla rappresentazione più efficace. Il capitolo è prettamente concentrato sulle tecniche necessarie alla riuscita di un disegno che parli da solo senza troppi supporti ulteriori, e non sono stati lesinati esempi in entrambi gli ambiti.

In Comunicazione e percezione, il capitolo più complesso perché si intrecciano tanti discorsi, tante correnti di pensiero, tanti spunti di riflessione, tanto di tutto e forse troppo, i due autori vorrebbe valutare come venga percepito dal fruitore il lavoro di architetto e del fumettista, per il ruolo che hanno architettura e fumetto di essere, a oggi in particolare, dei “mass medium della comunicazione di messaggi” o più semplicemente, come su FantasyMagazine diciamo spesso, due creatori di mondi. Se nel capitolo precedente ci si è soffermati sulle tecniche espressive, ora si riflette su quelle comunicative, ma essendo due argomenti che procedono molto parallelamente il rischio è anche di ripetersi e quindi di dilungarsi al punto di far perdere il filo. Tuttavia il senso è chiaro: cosa serve per una comunicazione riuscita? Cosa non deve mancare perché si crei una relazione completa tra chi propone e chi riceve? Riescono a raccontare il mondo nel momento in cui vengono realizzati? Come vengono recepiti e quali sono i loro rispettivi limiti? Dove falliscono?

Laura Cassarà
Laura Cassarà
Cassarà e D'Urso partono dalle riflessioni di Umberto Eco, il maestro delle riflessioni tribali, e passano per i grandi architetti del novecento internazionale, per il mondo ipercomplesso del post modernismo e l'immaginario di Las Vegas, per non arrivare a delle vere e proprie conclusioni, perché esse sono state tratte durante il dispiegarsi dell'intero capitolo, lasciando la possibilità al lettore di trarre le proprie, ma non è detto che il lettore abbia ancora intenzione di trarne. Non c'è un chiaro e netto svolgimento. Si intrecciano in modo fitto riflessioni su riflessioni e perdere il filo è facilissimo. Occorre prendere appunti, per uscirne vivi.

Parc de la Villette, Parigi, Bernard Tschumi
Parc de la Villette, Parigi, Bernard Tschumi
Lo spazio e il tempo, terzo capitolo del saggio, è introdotto da due caustiche citazioni (Douglas Adams, autore di Guida Galattica per autostoppisti, e l'architetto Philip C. Johnson, teorizzatore dell'International Style e primo a vincere il Premio Pritzker nel 1979), seguite da un'introduzione in cui, addirittura, viene portato a sostegno della loro prossima illustrazione del peso  e del ruolo che hanno sia lo spazio che il tempo nell'architettura come nel fumetto uno dei massimi filosofi di ogni epoca, Immanuel Kant: il concetto di tempo e di spazio siano propri dell'architettura e del fumetto.

Partendo da banali assunti come lo spazio è la materia fondamentale dell'architettura, senza spazio non c'è architettura, l'architettura è narrazione, immagine del proprio tempo, espressione di esperienza, creatrice di atmosfere, il tempo come quarta dimensione dell'architettura, spiegazioni un po' forzate per ricondurvi anche il fumetto (la vignetta come spazio ristretto in cui proporre ogni fotogramma della storia...), a parte il voler asserire che esso è l'arte di organizzare lo spazio disegnato e gestire il tempo del racconto si ribadisce come la componente narrativa dell'architettura, la capacità di dialogare nello spazio con il preesistente, la suggestione che lo spazio suscita nel fruitore siano elementi fondanti l'architettura stessa. A sostegno di queste affermazioni vengono portati esempi irrinunciabili come il Parco de La Villette a Parigi di Bernard Tschumi, veramente emblematico in questo senso per il suo ordine complesso quanto estremamente intuitivo, e poi la produzione di Carlo Scarpa. Poco si insiste su Antoni Gaudì e per nulla si prova ad andare oltre con esempi più complessi come avrebbe potuto essere l'architettura di Frank Gehry, ma è chiaro che siano scelte volute degli autori, legittime.

Sebastiano D'Urso
Sebastiano D'Urso
Infine, nell'ultimo capitolo di ben cinquanta pagine, Spazio e Visione, c'è un po' un ripetere concetti già proposti nel capitolo precedente ma ampliandoli ulteriormente, riflettendo sul concetto di interpretazione della realtà esprimendosi attraverso l'architettura o il fumetto. Immaginare e creare nuove realtà attraverso una visione, un progetto, collegandosi al concetto di utopia; la progettazione di spazi visionari, concettuali e fantastici, ma al tempo stesso in grado di creare un senso di identità e riconoscimento in chi ne fruisce, la presenza di elementi che persistono da tempi immemori e continuano a riproporsi con nuovi metodi, nuove riflessioni, nuove visioni, a prescindere dall'empatia che riescono a suscitare, l'essere strumenti di narrazione in continua evoluzione, mutevoli e imprevedibili. Questo è il mondo dell'architettura
The Building, Will Eisner
The Building, Will Eisner
come la produzione fumettistica.

A supporto di questa complessa teoria vengono portati numerosissimi esempi, il Crystal Palace progettato per la prima Esposizione Universale del 1851 a Londra, come Building Stories, la graphic novel di Chris Ware, autore delle famose copertine del New Yorker, passando per uno dei maestri del fumetto mondiale, Will Eisner, con la sua graphic novel The Building o i landmark urbani come il Big Ben.

Infine, più di venti pagine sono dedicate ai riferimenti bibliografici e iconografici, quasi come a ribadire la veridicità delle proprie ricerche.

Di fatto, già solo questa struttura ci suggerisce che siamo di fronte a un testo che più che di divulgazione, nonostante una tematica decisamente stimolante, troverà più plauso tra gli architetti che non tra gli appassionati di fumetti. Per come è strutturato il discorso, non tanto il libro in sé, è un libro che verrà maggiormente non tanto apprezzato quanto capito dagli architetti.

Non ha un approccio leggero, è un testo profondo, oserei dire profondamente approfondito ma fin troppo, al punto di essere talvolta

Crystal Palace, Esposizione Universale di Londra, 1851
Crystal Palace, Esposizione Universale di Londra, 1851
ridondante, per non dire prolisso.

Per essere letto necessita di assoluta tranquillità tanto che quasi viene voglia di studiarlo per paura di perdersi qualche concetto, perché estremamente concatenati l'uno all'altro a ritmo serrato. Si sussegue una speculazione quasi asettica che cerca di ricondurre tutto lo scibile e i legami possibili. Tutte le opinioni di tutti, senza soluzione di continuità, e non si sa bene dove prendere fiato, se non a fine capitolo.

Si ha quasi la sensazione di essere di lì a poco chiamati a un'interrogazione, o a un test di verifica.

Non è una lettura “snella”, pur non usando un linguaggio o uno stile complesso, ma i pensieri sono espressi in modo molto articolato. Non è un libro per tutti come potrebbe inizialmente sembrare.

L'argomento è affascinante e complesso, le riflessioni ricche di riferimenti, concetti non scontati ma ogni periodo concatenato all'altro risulta estremamente carico e di non immediato recepimento, anzi, sembra dare per scontato che il lettore sia già abbastanza inserito in tutta una serie di ragionamenti e in grado di seguire un tipo di discorso sull'architettura, oltre a proporre numerosi riferimenti filosofici, storici, in due parole, da enciclopedia tribale, come in effetti è il mondo dell'architettura e chi ci è passato attraverso e ha fatto dell'architettura la propria vita lo sa bene, è un mondo che ne racchiude tanti, per non dire infiniti; ma lo stesso si può dire dello strumento “fumetto”, che da tempi immemori è in grado di modellarsi, articolarsi e rigenerarsi per narrare le storie più disparate, per non passare mai di moda, per catturare l'attenzione del lettore, storia dopo storia, soggetto dopo soggetto.

Da "Building Stories" di Chris Ware
Da "Building Stories" di Chris Ware
È difficile non essere “d'accordo” con i tanti ragionamenti proposti, le conclusioni personali, laddove si riesca a individuarne si dimenticano facilmente, perché o sono ovviamente condivisibili o sono sommerse da tutti gli esempi possibili e immaginabili, seppure pertinenti. 

La struttura grafica rende terribilmente faticosa la lettura. Il corpo del testo è un unicum, sempre uguale a se stesso, senza interruzioni, e questo appesantisce la lettura. Non c'è tempo per una pausa, i periodi si susseguono uno uguale all'altro, e non bastano le pagine di immagini a dare una pausa alla lettura, spesso il lettore sarà portato a guardarle dopo aver terminato il capitolo.

Non siamo di fronte a un romanzo ma un saggio; un saggio che parla di fumetto, di architettura, di arte e creatività, eppure graficamente ne è l'assoluta negazione. Avrebbe dovuto prendere maggiormente spunto dal tema stesso e approcciare a una impostazione più efficace. Così è un mattonazzo pesante e faticoso da assimiliare. Un progetto grafico meno serioso (che non vuol dire rinunciare al bianco e nero, anzi) ne migliorerebbe senz'altro la fruizione e permetterebbe di apprezzare il titanico lavoro che i due autori hanno portato avanti, per cercare di aprire al mondo dei non addetti ai lavori il mondo altro che è l'architettura, in grado da sempre di racchiudere tanti piccoli sottomondi e le storie di tutti, e di raccontare proprio come avviene col fumetto, le storie di ogni epoca.

È certamente importante porsi le giuste domande e questo è un grande merito dei due autori, come anche il riuscire a trasmettere entusiasmo al lettore, aspetto non da poco, ed è anche necessario trovare le giuste basi per tentare di dare un quadro il più possibile completo per aiutare il lettore, solitamente lo studente, a farsi un'idea il più possibile chiara. In questo senso il saggio di Cassarà e D'Urso merita certamente una chance. 

Il problema, forse, è che mettendo così tanta carta al fuoco si rischia di creare un grande fuoco, che brucia in modo spettacolare ma di cui poi non resta che tanta cenere. È un volume valido per gli addetti ai lavori, per un laureando alla ricerca di tanto materiale, ma in un saggio è legittimo aspettarsi anche qualche riflessione in più, che porti a un livello superiore il dibattito sempre più crescente sui rapporti che intercorrono tra queste due vere e proprie arti, col loro complesso e fortissimo background e in continuo e costante fermento evolutivo e involutivo al tempo stesso. Questo è lasciato a ciascun lettore, forse, ma non è detto che fosse un intento voluto.