[Beatrice Manganelli]

Quando il giovane Eragon trova una strana pietra blu nel cuore della foresta, non sa ancora che a quel ritrovamento è legato il suo destino e quando scopre che la pietra è in realtà un uovo che schiudendosi rivela il suo singolare contenuto, un cucciolo di drago, il ragazzo si rende conto che nei racconti narrati dal cantastorie Brom c’è qualcosa che lo riguarda fin troppo da vicino e comincia a porsi alcune domande: “...come hanno cominciato i cavalieri, perché sono tenuti in così alta considerazione e da dove vengono i draghi?”.

Costretto dagli eventi ad allontanarsi dalla sua amata valle, Eragon intraprende un viaggio, in compagnia del suo drago e del vecchio cantastorie, durante il quale apprenderà molto su di sé e dovrà dimostrare d'essere degno di meritare ciò che l'incredibile destino gli ha riservato.

Con tutto il gran parlare che si è fatto sull’uscita di questo libro e sul suo autore, il giovanissimo Christopher Paolini, non è stato facile leggere il libro con l’animo sgombro da preconcetti.

Chi non è digiuno di fantasy si renderà subito conto che l’autore ha attinto a piene mani dagli archetipi sui quali il genere stesso affonda le sue radici.

Alla stregua di Luke Skywalker, Frodo Baggins o Re Artù, Eragon è “il predestinato”, colui che ha il gravoso compito di sconfiggere il male imperante e riportare la pace, la giustizia e l’abbondanza nella tormentata terra di Alagaësia.

Qualsiasi autore attinge alla propria esperienza e conoscenza e Paolini non fa eccezione. Naturalmente ha letto la trilogia di Tolkien e ripropone questo sapere dando ai luoghi della sua narrazione nomi quali Uru-Baen o Eldor, facendo assomigliare i Ra’zac agli Spettri dell’Anello e il cantastorie Brom a Gandalf. Ma nessun lettore si offenderà per questo o metterà da parte il libro pensando a una pedissequa imitazione. Paolini è riuscito laddove molti altri autori hanno fallito, sebbene più maturi e più smaliziati di lui: riproporre temi famosi filtrati alla luce della sua fantasia e delle sue esperienze riuscendo a ricreare un mondo che, per quanto noto, non è assimilabile a nessun altro fino a oggi descritto.

La prosa elegante, l’incalzante ritmo degli eventi e l’entusiasmo che trasuda pagina dopo pagina catturano l’immaginazione di chi legge regalando una ventata di novità. Il giovane Eragon è un eroe che tocca immediatamente il cuore: povero, orfano, coraggioso e impulsivo spesso esce ammaccato e ferito dalle imprese in cui si cimenta; è praticamente impossibile non volergli subito bene e non prendere a cuore la sua sorte.

Il legame tra lui e Saphira, il suo drago azzurro, è descritto con toni toccanti e divertenti. Saphira è una creatura senziente dotata di intelligenza e istinto, sarà di volta in volta amica, sorella e madre per questo ragazzo che si avvicina alla virilità gravato di una responsabilità non richiesta.

A volte la trama traballa sotto il peso di lacune nella logica del suo sviluppo o i personaggi peccano di scarsa caratterizzazione, ma non va dimenticato che il libro fa parte di un’opera di più ampio respiro.

Il magico cammino di Eragon - che continuerà nel prossimo volume della trilogia, mentre Eragon si reca nella capitale degli Elfi, seguendo le istruzioni di una misteriosa figura che gli è apparsa in una visione – non mancherà di affascinare anche i lettori de Il Signore degli Anelli o della saga di Harry Potter.

[Giuseppe Merigo]

Osannato, a torto o a ragione, considerato nuova linfa per lo stanco genere fantasy, Christopher Paolini è stato paragonato da alcuni addirittura a Tolkien. Per questa ragione ho deciso di ordinarne una copia e leggermela in lingua originale. Devo dire che lo stile e lo svolgimento (e la qualità delle tematiche), più che al padre degli hobbit, sono vicine a Terry Brooks, anche se la trama risulta essere alla fine più originale e meno forzata. Questo ovviamente anche perché Eragon è il primo libro di una trilogia e quindi di sicuro la fine del primo volume non è che l'inizio dell'avventura.

L'ambientazione è quanto di più classico si possa desiderare da un romanzo fantasy: fin dall'inizio ci si trova alle prese con elfi, nani e Urgal - altro nome per i famigerati orchi. Lo snodo della trama non si allontana troppo dalla metafora del viaggio, così cara alla tematica fantasy, ma per lo meno ci sono piccole differenze, come la consapevolezza del destino che Eragon si è scelto e la presenza di un compagno davvero speciale.

Nella narrazione ci sono delle cose che non vanno, ovviamente, altrimenti sarei qui a proclamare il legittimo discendente di Tolkien, ma andiamo con ordine.

Dopo il prologo, l'inizio è titubante e probabilmente risente della classica "sindrome da foglio bianco", nel quale ci sono un sacco di idee ma nessuna così incisiva da poter essere usata come pretesto per introdurre la storia. Il peccato diventa veniale se pensiamo che la vicenda è stata scritta da un quindicenne appena diplomato alla 'high school' e per avere un po' di fantasy si perdona anche questo.

Una volta che il filone della storia si dipana, riaffiora uno dei consueti Cliché (con la C maiuscola) del fantasy: il mentore-che-sa-ma-non-vuol-dire. Ovviamente questo ha in un certo qual modo una spiegazione non banale del suo comportamento, e una presenza meno opprimente e "sovrannaturale", ma rimane l'impressione dello stereotipo.

Di positivo ho trovato alcune interessanti interpretazioni di temi del fantasy, come la magia (quasi originale, dopotutto) e di alcune capacità di eroi e cattivi.

La sensazione di movimento che accompagna le avventure del giovane Eragon merita un plauso e si contrappone alla passività di alcuni giovani eroi (per lo meno fino alla loro definitiva consacrazione), di cui troppo spesso mi capita di leggere.

In sostanza un buon libro, se avete il dono della lettura dell'americano (che è molto, molto più semplice dell'Inglese) e se cercate qualcosa di non troppo diverso da Brooks, Dragonlance e compagni.

Per il novello Tolkien, bisognerà attendere il prossimo professore...

[Massimo Manganelli]

Un po’ per la grancassa pubblicitaria, un po’ perché cerco di non farmi sfuggire quanto il genere Fantasy ha ancora di nuovo da offrire, ho acquistato e letto “Eragon” di Christopher Paolini.

Non voglio negare che fossi prevenuto, ma se non avessi saputo dall’inizio di trovarmi di fronte all’opera di un quindicenne avrei lasciato il libro dopo poche pagine... fermo restando che circa alla sua stessa età alcuni hanno creato cose migliori (a mio parere) pur non avendo avuto la sua stessa fortuna.

Tanto per chiarire, settant’anni fa Paolini si sarebbe forse visto rifiutare le sue opere dalle pubblicazioni dell’epoca, già sature di prosa consimile (io editore, dovendo scegliere, avrei optato per Howard...).

Eragon si legge, per carità, ma non lascia in ansiosa attesa dell’immancabile e implacabile seguito. Vorrei scomodare il titolo di un ameno libretto culinario attribuito a Olindo Guerrini, “L’economia del cittadino in villa, o l’arte di rimanipolar gli avanzi”: nell’eremo in stile Hamish, culla del nostro giovanotto, certo Paolini ha avuto molto tempo per leggere e assimilare situazioni, personaggi, persino metalinguaggi di altri scrittori. Senza Tolkien, esemplarmente, nomi e toponimi umani, elfici e naneschi avrebbero sicuramente avuto un suono onomatopeico e fanciullesco superiore a quello che hanno già.

Aggiungiamo poi scorci di dialogo che, volendo scimmiottare un epico e forbito favellare medievale, sembrano piuttosto le perifrasi dei pellirosse nei film di serie B (“Il giovane viso pallido che cavalca il serpente volante non ha la lingua biforcuta”... o qualcosa di simile): snellendo il tutto, l’opera sarebbe stata forse più agevole e maneggevole.

Ci sono anche parti divertenti e ben scritte, soprattutto per quanto riguarda il rapporto tra Eragon e la Dragonessa, ma quanta paccottiglia e quanto deja-vu per arrivarci!

Per disintossicarmi, mi sono riletto il vecchio, divertente esercizio in stile fantasy di Lyon Sprague De Camp “La Principessa indesiderata”, tremando al pensiero di cosa diventerebbe in mano agli attuali “parolivendoli” (perdonatemi il neologismo barbarico...) alla cui schiera, crescendo in età e malizia di mestiere, Paolini certo si unirà.

Pare, dalle note di copertina, che già incomba la trasposizione cinematografica, che ovviamente immaginiamo in tre noiosissime parti ben separate temporalmente tra loro.

Posto e non concesso che venga realizzata, per l’epoca di uscita i singulti giovanili di Paolini giaceranno tristemente tra gli invenduti delle bancarelle estive a prezzi stracciati e la collocazione del film sarà un noioso pomeriggio di qualche rete privata.