La prima sensazione che si avverte, leggendo Le Fiabe di Beda il Bardo, è quella di un libro costruito con molta intelligenza e humour, due tratti che del resto hanno sempre contraddistinto la produzione di J.K. Rowling. 

Non è tanto il contenuto delle cinque favole, pur gradevoli, ad affascinare, quanto il fatto che le osservazioni a commento da parte di Silente e della Rowling lo calano perfettamente nel contesto culturale magico, dandoci non solo nuove informazioni ma facendoci sentire, ancor di più, parte di quel tessuto magico che ci ha tenuto compagnia così a lungo.

Le note storiche ci danno anzitutto la spiegazione di alcune vicende a noi ben note nelle linee generali, ma non nei succosi dettagli. Ad esempio, scopriamo chi era e perché morì Sir Nicholas, da dove arriva l'odio della famiglia Malfoy per il sangue impuro e perché Lucius non può soffrire Silente.

Il libro ci offre anche uno spaccato su alcuni insegnanti di Hogwarts che non abbiamo mai conosciuto, anche se sono stati nominati nei romanzi (ad sempio il professor Kettleburn, docente di Cura delle Creature Magiche prima di Hagrid, a cui Silente allude ironicamente nel discorso augurale del terzo anno) e ci spiega come mai il teatro, una forma artistica elevata ad amata disciplina in molti Paesi di lingua anglossassone, sia misteriosamente assente dall'esperienza di Hogwarts.

Infine, ci rende edotti su particolari storici come ad esempio l'anno in cui le Maledizioni Senza Perdono vennero dichiarate illegali e ci chiarisce alcune sottili ma determinanti concetti di magia, come la differenza fra la trasfigurazione in un animale e la trasformazione in animale operata da un Animagus.

Quanto alle fiabe in sé, si tratta di racconti molto semplici ma molto somiglianti a quelle popolari di cui abbiamo memoria dalla nostra infanzia e questo rivela un'abilità non da poco (provatevi a scrivere una fiaba compiuta, con tanto di morale sottesa, e toccherete subito con mano la difficoltà). Se si vogliono azzardare paragoni, il nome che viene in mente non è però uno della 'sacra triade' Andersen-Grimm-Perrault, quanto piuttosto un nostranissimo Luigi Capuana. Si avverte infatti una misuratezza dell'elemento fantastico che si fonde con quello quotidiano in modo assolutamente naturale e pacato (con la sola eccezione dello Stregone dal cuore peloso, che vira senz'altro su tinte più grimmiane).

Nel confezionare questi racconti, la Rowling cade spesso involontaria preda di profondi retaggi culturali e psicanalitici babbani, che del resto fanno - volente o nolente - parte del suo bagaglio, come di quello di noi tutti: pensiamo al calderone  che risuscita i morti nel raconto del Mago e il pentolone salterino e che riecheggia quello mitologico del dio Bran nel Mabinogion; oppure al crimine dello Stregone dal cuore peloso, la fiaba horror della serie in cui Bruno Bettelheim individuerebbe al volo inconsci riferimenti alla 'consumazione'; oppure ancora, in quella stessa fiaba, il riferimento al bestseller magico 'Il cuore peloso: i maghi che non vogliono responsabilità', che sembra riecheggiare la famosa sindrome (babbana) di Peter Pan descritta a partire dagli anni '80 dallo psicologo Dan Kiley.

Qualche perplessità può sorgere di fronte alle osservazioni di Silente sui Doni della Morte, che egli pare considerare solo leggenda. Ne è convinto o tenta solo di far desistere altri da quella rovinosa ricerca di cui egli ha pagato un prezzo altissimo in gioventù? Se le note sono state scritte un anno e mezzo prima delle vicende della Torre di Astronomia, Silente ha avuto infatti tutto il tempo per scoprire di possedere la Bacchetta di Sambuco, di aver ispezionato il Mantello di Harry e forse anche di aver già trovato l'Anello dei Gaunt...  Quando il preside si reca a Privet Drive per prelevare Harry, siamo infatti alla fine di luglio ed egli ha già la mano bruciata; in più  è ragionevole supporre che egli abbia iniziato già da qualche tempo a raccogliere informazioni più precise sugli horcrux, assieme ai ricordi del Pensatoio che passerà a Harry nel corso del sesto anno. L'omicidio accade verso la fine di quell'anno scolastico. Tutto fa presuppore dunque che il preside conosca la verità sui Doni, e allora perché li relega a mito senza fondamento?... E' solo rileggendo un particolare dell'introduzione della Rowling che l'equivoco si chiarisce: la scrittrice allude infatti espressamente agli intenti prottettivi del grande mago, ricordandoci che, come già egli ebbe a dire a Harry Potter alla fine del primo anno scolastico "la verità è una cosa bellissima e terribile, che va trattata con molta cautela".

Con Le Fiabe di Beda il Bardo la Rowling ci permette un gradito tuffo nostalgico  nelle amosfere potteriane tanto care a chi ha amato questa saga, inventadosi, dopo il Quidditch attraverso i secoli e Gli animali fantastici, uno pseudobiblium equilibrato, garbato, ironico e il cui successo, vista la causa benefica che sta servendo coi suoi proventi, rappresenta un ottimo valore aggiunto a una pubblicazione già di per sé piacevolissima.