“A parte pochi autori ormai noti e consolidati […] il panorama della fantasy attuale presenta una moltitudine di autori più o meno allo stesso livello, più o meno sconosciuti in Italia, che compongono soltanto serie di quattro, cinque, e più romanzi, ognuno di cinquecento e passa pagine!”

Così scriveva Sandro Pergameno all’inizio del 1997 in un editoriale pubblicato da Futuro News, il magazine nel quale Sergio Fanucci faceva conoscere agli appassionati le novità proposte dalla sua casa editrice.

“Come pensare di poter proporre al pubblico italiano una serie (e faccio solo un esempio, ma potrei citarne dieci) come quella di Terry Goodkind che, al suo esordio, ha pensato bene di scrivere un’opera prima di ottocento pagine (Wizard’s first rule), di cui sono già usciti altri due seguiti di altrettanta lunghezza, per un totale (fino ad ora, attenzione!) di duemilaquattrocento pagine.

Quale editore può fare una scelta simile con leggerezza, sapendo di dover mettere in vendita ogni libro della serie ad almeno trenta/trentacinquemila lire?”

Pergameno proseguiva la sua disamina spiegando che la loro scelta si era quindi orientata verso “romanzi relativamente brevi e facilmente leggibili e vendibili, soprattutto se teniamo conto del fatto che li pubblicheremo in pocket a prezzi molto bassi. Lo stesso discorso vale per i romanzi della serie di Conan scritti da Robert Jordan, che sono piuttosto brevi (a differenza del suo ciclo della Ruota del tempo, classico esempio di saghe monumentali da cinque/seicento pagine a volume).”

A dodici anni di distanza viene un po’ da sorridere nel rileggere queste parole. Si, perché i romanzi bravi citati in altre righe dell’editoriale sono spariti dalla circolazione, compreso quel Conan l’invincibile che è rimasto l’unico volume tradotto in italiano fra quelli che Jordan ha dedicato al muscoloso barbaro, mentre le opere “di difficile pubblicazione” si sono trasformate in straordinari successi.

E ad aggiungere un tocco d’ironia all’episodio contribuisce il fatto che proprio a Fanucci si deve il merito di aver fatto giungere (o tornare, come nel caso di Jordan) anche da noi queste due saghe.

Nell’ottobre del 1998 L’assedio delle tenebre arrivava nelle nostre librerie. I responsabili della casa editrice romana avevano trovato il modo di pubblicare il romanzo senza spaventare i lettori con un prezzo eccessivamente alto. Il volume costava infatti 25.000 lire ma la cifra, più in linea con quanto richiesto dagli altri editori per le loro novità di narrativa, nascondeva a suo modo una sorpresa.

L’assedio delle tenebre, infatti, con le sue 410 pagine corrispondeva a poco più della metà di Wizard’s Firs Rule. Le restanti 375 pagine sarebbero state pubblicate pochi mesi dopo, nel gennaio del 1999, sotto il titolo La profezia del mago. Chi avesse voluto leggerle avrebbe dovuto sborsare altre 25.000 lire.

Salvato il problema di dover pagare alti diritti d’autore ma di non voler proporre volumi troppo costosi con un escamotage non esattamente simpatico per i lettori (ma che non è comunque un’invenzione di Fanucci) anche i tre seguiti sono arrivati in Italia divisi a metà.

Abbiamo così visto Stone of Tears (1995) dividersi in Il guardiano delle tenebre e La pietra delle lacrime, Blood of the Fold (1996) diventare La stirpe dei fedeli e L’ordine imperiale e The Temple of the Winds (1997) spezzarsi in La profezia della luna rossa e Il tempio dei venti.

La copertina di La stirpe dei fedeli (2000) riporta la dicitura “il quinto volume del ciclo de La spada della verità”. Fino a quel momento era stato indicato in modo ben visibile quale fosse l’ordine di lettura dei vari tomi che componevano la saga. Da L’ordine imperiale in poi la numerazione ordinale veniva sostituita da un più generico “un nuovo episodio del ciclo de La spada della verità”.

Probabilmente la scelta era stata originata dall’imminente inizio di una ripubblicazione nella collana Nuova economica tascabile (NET), nella quale i romanzi tornavano a ricomporsi così come li aveva realizzati il suo autore.

Il passaggio dalla collana Il libro d’oro a quella dei tascabili non comportava solo la presenza di una diversa numerazione. I vari titoli finivano per scomparire, e ciascun romanzo sarebbe stato denominato semplicemente La spada della verità vol. 1; vol. 2 e così via.

Se questo tipo di titolo toglieva ogni dubbio circa la sequenza dei vari romanzi, non risolveva comunque tutti i problemi. Anzi, uno era originato proprio da questa scelta.