Fantasy

Riguardo al fantasy, sappiamo che esso viene spesso visto come un genere piuttosto leggero e sottostimato dall'elite culturale. Perché secondo te? Dipende dai lettori, dagli editori, dal retaggio culturale? Quali sono le potenzialità del fantasy?

Diciamo che ho potuto costruire una tesi a riguardo, in base alle mie continue esperienze e rapporti col pubblico, oltre che con diversi “intellettuali”. È anche il motivo del mio sostenuto scontro con determinate categorie di persone. Molti sono quelli che tacciano il fantasy, e nel mio caso il mito, di essere troppo distante dalla realtà, di non recare in sé alcuna traccia del “vissuto” tanto opposto da tali sedicenti critici. In più, alcuni portano ancora avanti quel retaggio culturale che vuole il mitomodernismo come corrente nata già morta. Ti faccio un esempio: presso l’evento a Mediabrera, al quale presi parte con un intervento sull’autopubblicazione e relativa presentazione dell’opera Amor di Ninfa, alla conclusione della serata, una giornalista mi si avvicinò e mi disse: “ma lei non è troppo giovane per essere distaccato dalla società?”. Questa non la potrò mai dimenticare, si commenta da sola. Purtroppo il fenomeno dell’opera che deve essere per forza una diretta proiezione, vuoi trasfigurata o no, di una “esperienza personale”, è dilagante; a modo loro, però. Si è perduto il senso della bellezza, di quella attività che molti artisti hanno sempre difeso e promosso, riscontrabile nell’atto dell’Immaginare. Secondo loro “Il fantasy, in quanto pura invenzione, non ha valenza perché è un genere vuoto”. Come spiegai una volta, le tematiche possono sembrare distanti anni luce ma i contenuti sono attuali; se io per esempio impiego la battaglia di Maratona per trattare la miseria dei vinti, il coraggio, la figura dell’eroe è normale che sia di difficile rapportabilità all’immaginario collettivo rispetto a una seconda guerra mondiale, ma i concetti sono quelli, medesimi in tutte le epoche.

Colpa è anche dei media che hanno calcato troppo la mano, tralasciando le cazzate che molti giornalisti inetti scrivono per far notizia o proprio perché non hanno capito nulla; forse un giornalista su dieci si informa e fa dovuta ricerca su ciò che scrive.

Però se poniamo il tutto in campo editoriale, assistiamo al contrario. Si considera il fantasy genere di serie zeta ma la maggior parte degli editori hanno iniziato a investire su “giovani talenti” del fantasy. Marketing? Alla fine basta che venda? Oppure la vera utenza del fantasy non è poi così declassata come si vuole far credere?

Il fantasy ha un grande potenziale, soprattutto perché l’Immaginazione è un’attività troppo messa da parte rispetto alla razionalità, e che permette al lettore di vedere le cose secondo un altro punto di vista.

È possibile con il fantasy inviare messaggi importanti o è un genere utile solo come intrattenimento? E anche se fosse solo intrattenimento, sarebbe poi un male?

Anche qui mi ripeterò. “È un retaggio infantile quello di voler raccontare storie fantastiche, fatte di draghi e cavalieri, che però nel tempo è cresciuto e si è sviluppato lambendo i confini della mitopoiesi. Il fantastico è immancabilmente legato a una esigenza della mente umana altresì a una sua capacità che spesso viene messa da parte o quasi dimenticata (a discapito del discutibile “vissuto”), anche dagli scrittori più autorevoli, ossia l’Immaginazione. Il potere dell’immaginare è infinito, un potere tale da costruire nuovi mondi, da controllare il tempo e metamorfosare la propria esistenza in una proiezione di se stessi, in un alter ego che vive all’interno d’una realtà testuale. Il libro come dimensione parallela.”. “La capacità di saper tessere trame, di intelligere secondo schemi fuori della logica formale, di approfondire personaggi all’interno di un sistema narrativo, di operare crossover fra tipologie diverse di personaggi e mondi. Il fantasy non è solo letteratura d’evasione ma un nuovo modo di interpretare la realtà, seppur in un sistema traslato, trasfigurato come lo è l’atto che è sotteso all’attività artistica”.

Il fantasy è necessario, anche come intrattenimento, la mente non è fatta per assorbire della realtà, nuda e cruda, tutto quanto, ha bisogno di staccare, di evadere, di trovare il proprio

luogo di quiete, il proprio choros apemon, un “luogo sicuro” dove le leggi del reale non esistono più e il peso della società si affievolisce fino a divenire un dimentico ricordo. Infatti, uno dei miei luoghi preferiti dove ambiento la maggior parte dei miei lavori è il bosco, luogo magico e dalle mille risorse.

Un fantasy che ti piacerebbe aver scritto è…

Sicuramente quello di Tolkien, che amo molto come scrittore, ma anche quello di Gemmell, col suo romanzo storico, dallo stile adamantino; diciamo in senso più ampio, mi sarebbe piaciuto scrivere narrativa. Io non so scrivere narrativa, sono un Poeta e mi distinguo nella forma poetica, nell’Epica Moderna.

Leggi fantasy italiano? Che ne pensi?

No, ma non per snobbismo, perché ancora devo finire una serie di libri, ho il secondo libro del Ciclo di Troia di Gemmell che langue. Ho intenzione di leggere, in futuro, Licia Troisi. Vado più a momenti e non perché creo una gerarchia di lettura. Però ho notato molto scetticismo nei confronti di libri appartenenti ad autori italiani, e comunque non solo in campo letterario; forse siamo troppo esterofili e pessimisti nei confronti delle nostre risorse. Per esempio, per i miei lavori, io sono stato contattato anche da Fondazioni Internazionali.