Antico e sempre attuale dilemma: pensi che scrivere sia dote innata o che si possa imparare, anche con le "nuove tecniche di scrittura"?
Le mille e una notte
Le mille e una notte

Andiamo per gradi. Scrivere come dipingere o comporre musica è attitudinale, una dote innata, ma tale innatismo deve essere affiancato anche dalla tecnica, soprattutto perché nell’esternare tale potenziale artistico si cade sotto le leggi dell’espressione, e quindi della forma. Molto spesso si confonde anche la spontaneità ispirativa con la libertà espressiva, laddove si è portati a scrivere di tutto e di più, senza alcun criterio. Questo lo si nota maggiormente in poesia, dominata da continue tautologie o rigurgiti versificatori senza fondamento, adducendo come scusa a tale semplicità che il verso segue il sentimento e che la tecnica rende artificioso il testo. Il tutto attiene, come ho già esposto prima, alle pretese personali dell’autore. È pur vero che qualcuno possa imparare a scrivere con qualche corso o semplicemente rifacendo le scuole elementari, ma al massimo eccederà i propri limiti e basta. 

Il Genio artistico e la bravura sono principalmente legati alla naturale propensione dell’individuo ma è pur vero che se non si coltiva e sviluppa tale capacità non si arriva a nulla; se non sai formulare una proposizione di senso compiuto non hai dove andare. Facendo un semplice esempio: se un pittore sa creare quadri grandiosi con soli quattro colori, figurati cosa riuscirebbe a fare con mille, è nello scarto tonale, nelle sfumature che sta la profondità dell’opera; in sostanza, davanti a sé si aprono infinite possibilità espressive, più ampi strumenti al servizio della propria capacità creativa. Non esiste la democrazia nell’Arte.

Sei uno scrittore lento o veloce, meditativo o istintivo? Tecnica a macchia di leopardo o disciplinato con ruolino di marcia? Imbrigli i personaggi o lasci che siano loro a decidere quale percorso deve seguire la vicenda?

Non amo molto le etichette, per cui ti dirò come lavoro io. Sulla pianificazione del concept work lavoro con molta meditazione e quel tanto che serve. Non avendo limiti di tempo per l’uscita dell’opera, se non quelli che mi impongo, mi prendo il tempo che ci vuole, anche se una certa enfasi nella fase compositiva mi porterebbe a veder finito subito il lavoro. La pianificazione prende molto tempo, anche un mese, soprattutto perché devo riordinare il materiale informativo, studiare le cartine geografiche, sviluppare la bozza dei personaggi e principalmente visionare la coerenza del tutto. “Istintivo” invece lo sono nella composizione dei testi poetici, anche se poi sono seguiti da un lungo sviluppo; un’istintualità che è stata addestrata nel rapporto diretto con la composizione programmata. È proprio perché nella mia poetica si ravvisa un intento creativo, che vengo considerato un “poeta letterario” e non un “aedo” (in senso tecnico), per quanto la critica possa risultare colorita nelle sue affermazioni.

L’opera viene modellata sui personaggi, in quanto sono coloro che scaturiscono le azioni

principali. L’opera cerca di aderire il più possibile al concetto di prepon, ossia di conformità, considerando l’opera come una struttura architettonica in cui tutto sta al proprio posto, in una perfetta relazione dialettica tra le parti. Alla fine, è anche sbagliato creare una linea temporale degli eventi, durante la fase compositiva può succedere di tutto, come ai nostri personaggi durante la loro avventura, per cui lo stesso scrittore opera in maniera diversa in base all’evoluzione del tessuto diegetico; è normale che vengano nuove idee che ti costringono a cambiare l’assetto della struttura, via via creando, anche a causa di due semplici versi che altresì costituiscono un gran potenziale per l’intera avventura.