Il canto è magia. Questo semplice fatto, mutuato dalle antiche religioni, sta alla base del breve romanzo di Andrea Franco Il signore del canto.

Il canto è magia, e la sua forza può svilupparsi in due forme diverse. La prima, la più diffusa e inevitabilmente anche la più banale, è la magia dei manutentori. Col canto essi possono realizzare oggetti, e influenzare la realtà materiale.

La seconda, più importante, è una magia dello spirito, e influisce sull’animo degli esseri umani. Può modificare la realtà a un livello molto più profondo, e influenzare le vite degli uomini. Soprattutto, è l’essenza stessa della società.

Perché ciascuno possa trovare la sua vocazione nel mondo del canto tutti i giovani, ragazzi e ragazze, devono frequentare per tre anni un’apposita scuola alla quale si accede dopo una prova preliminare.

 

Fin qui nulla di particolarmente nuovo, le scuole di magia, già presenti da molto tempo nelle opere fantasy, hanno trovato una considerevole attenzione e notorietà da parte di lettori e autori grazie alla scuola di Hogwarts creata da J.K. Rowling. Anche la prova iniziale, pur se diversa dal più semplice smistamento in case dell’autrice britannica, è a lei accostabile per via dei dubbi interiori che tormentano l’animo del giovane protagonista in un momento tanto importante.

Lo sviluppo della storia, però, segue sentieri molto diversi, legati alla particolare struttura del mondo di al’ajis.

Un mondo, una società, nel quale le ragazze più dotate sono indirizzate, se non proprio costrette, verso una vita di reclusione, totalmente dimentiche del proprio passato e al servizio della loro città. Ciò che domina tutto è la Regola, inflessibile e immutabile e talmente radicata nella mente di tutti che l’idea d’infrangerla non è nemmeno concepibile.

 

In questo contesto si svolge la storia di Jamis e del suo amore per Èlhear. È il sentimento fra i due giovani il cuore del romanzo, ciò intorno a cui tutto ruota. E, dato il piccolo formato del volume, inevitabilmente molto, dell’ambientazione, resta fuori.

Si parla della Regola e della sua importanza, ma troppi dettagli che la riguardano non vengono spiegati, finendo per renderla eccessivamente misteriosa. Analogamente, non vengono spiegati il motivo per cui Èlhear e le sue compagne devono sottoporsi alla cerimonia di purificazione, o perché debba esistere un luogo come il Flehain, con la sua rigida struttura. Ancora, i due accenni a un diverso tipo di magia fanno sospettare l’esistenza di possibilità diverse da quelle narrate, senza però approfondire come e perché la società sia giunta a fissare la Regola stessa.

 

Al di là di questi limiti, però, il romanzo si legge con piacere. Jamis è un personaggio sensibile e ben caratterizzato, tormentato dai dubbi, in cerca di un’identità ma spinto dalla forza del suo amore. Il confronto con la hel’erendis Halædris e la dura lezione ricavatane, l’amicizia con Filliv – importante pur se tratteggiata con poche parole – e la scoperta di preoccupazioni e dolori diversi dai suoi contribuiscono alla maturazione del giovane e lo rendono una figura estremamente reale.

Ugualmente convincenti sono Èlhear e Halædris, malgrado le poche pagine a loro dedicate.

Su tutto, a unire e contrapporre i vari personaggi, spicca il Canto. Potente e maestoso, intangibile come un sogno e dominatore come un tiranno, ma allo stesso tempo portatore di vita. Anche se a volte i sogni si infrangono e la vita non è quella sperata, perché per i suoi protagonisti Andrea Franco ha coraggiosamente scelto un destino coerente con il mondo che ha creato, evitando le facili lusinghe del più classico lieto fine.