Il tuo approccio alla scrittura (in genere) e a quella horror di The Tube.

Dunque … quando scrivo una storia me la cavo abbastanza bene a sintetizzare ma, per rispondere a una domanda come questa, vi racconto qualcosa di me senza prolungarmi troppo (in caso contrario giuro che non s'è fatto apposta).  

Sono passati circa dieci anni dalla prima volta in cui mi sono cimentato in una doppia prima esperienza: scrivere un racconto e partecipare a un concorso letterario. Fino ad allora erano trascorsi più di venti anni nel corso dei quali mi ripromettevo sempre di scrivere qualcosa che andasse al di là delle filastrocche, delle poesiole, dei giochi di parole che durante la mia infanzia e poi nella preadolescenza avevano riempito quaderni e quaderni, carta su carta. ‘’Uno di questi giorni’’, mi dicevo, ma rimandavo sempre, forse perché è più facile pensare di fare una cosa anzi che realizzarla davvero. Immagino si trattasse di una sorta di autocompiacimento ingiustificato, di quelli che inducono i giovani a pensare che si è in grado di scrivere un libro indimenticabile, destinato a splendere come la stella più luminosa nel firmamento della carta;  di far sognare migliaia di persone nello stesso modo in cui alcuni libri sono riusciti a fare nei tuoi confronti. Ma per fortuna, e non purtroppo, quella stessa vocina che risuonava ogni tanto nella mia testa diventava molto meno acuta e stridula, abbassandosi di varie ottave, fino a trasformarsi nella voce profonda di un fratello maggiore, che dal futuro mi guardava e mi invitava a desistere, ad aspettare (per la serie: magna tranquillo …). Penso di aver fatto bene ad ascoltare quella voce. Se avessi iniziato l’impresa il mio cammino di aspirante scrittore sarebbe diventato impervio, fino alla resa inevitabile, e fino a vedere i sogni infrangersi per sempre. Parlo per me, naturalmente, parlo del ragazzo che ero e delle mie debolezze; ma immagino vi siano tantissime persone che hanno fatto lo stesso percorso, se non nella scrittura in un qualsiasi altro campo. Nel mio caso un aspetto positivo è stato il fatto che all’epoca il personal computer e internet erano praticamente fantascienza; positivo sul serio, perché proprio la mancanza di mezzi tecnologici ha favorito la mia naturale propensione a darmi del pazzo in partenza anche solo a pensare di passare ore e ore davanti a una macchina da scrivere con un cestino pieno di fogli accartocciati accanto ai miei piedi. Considerati i mezzi che abbiamo oggi per comunicare, gli scrittori di una volta li considero degli eroi, sia quelli famosi sia quelli che per qualsiasi motivo famosi non sono mai diventati (la maggior parte, immagino). Loro non si limitavano ad ascoltarle le voci, ma rispondevano mettendo le loro risposte per iscritto, nero su bianco; ma senza computer, spesso solo con un calamaio, con la pergamena e un mozzicone di candela. Certamente in quelle persone bruciava forte il fuoco della passione per la scrittura, visto che molto di rado la loro fiamma riusciva ad alimentare anche le loro tasche. Sudore e lacrime, tante ne devono aver versate, pure quelli che ne hanno ricevuto soddisfazioni materiali. Penso che quella voce fraterna mi parlasse proprio di questo, dalla dimensione temporale da cui proveniva; per prepararmi ad affrontare con calma, al momento giusto (quello che per me era il momento giusto), con lo spirito giusto (idem) questo luna-park della parola scritta. Io perlomeno vedo così, il mondo della scrittura: un luna-park, dove ci sono molti fenomeni da baraccone (me compreso), dove molti si divertono davvero e altri fingono di divertirsi, dove altri ancora si buttano cercando di cancellare per qualche ora ricordi spiacevoli, o preoccupazioni, dove alcuni genitori cercano di dare ai loro figli ciò che loro non hanno mai avuto, dove altri genitori i loro figli li abbandonano, dove certi figli fuggono dai loro genitori, dove gli orrori sono di cartapesta o reali, dove tutto dipende dalla struttura, dalla novità, dalla moda, dagli imbonitori che urlano al vento le lodi dell’attrazione di turno, dove gli spettacoli degni di tale nome sono a volte surclassati da quelli mediocri che dispongono di mezzi maggiori, dove a volte paghi solo se partecipi, dove altre volte paghi anche solo per entrare, dove qualche volta riesci a entrare gratis, dove si può essere in certi casi pubblico e attrazione …

Una volta, avrò avuto sedici anni, cero a casa di un ragazzino più piccolo di me di due o tre anni. Lui mi mostrò con orgoglio la sua racchetta firmata, e il contenitore di plastica in cui teneva tre palle da tennis di marca. Ricordo che mi chiese quale fosse il motivo per cui mi piaceva giocare a tennis; io risposi senza indugio che ci giocavo perché mi divertivo, lui mi guardò con supponenza, affermando invece che nel suo caso era per passione, per lo sport in sé. La sua risposta mi lasciò perplesso, forse perché oltre a essere un pochino più grande già all’epoca i messaggi dal futuro mi arrivavano forte e chiaro. Non so, onestamente, chi dei due avesse lo spirito più giusto nel vivere il tennis (e tanti degli altri sport in cui mi piaceva cimentarmi), di certo nessuno dei due ha fatto granché come tennista …