Il tuo approccio alla scrittura (in genere) e a quella horror di The Tube.

Il mio approccio alla scrittura è fondamentalmente egoistico: scrivo perché mi fa stare bene, al pari del buon cibo o dell’attività fisica. Nonostante questo, fino a un po’ di tempo fa la mia pigrizia mi ha impedito di dedicarmici con una certa continuità (alla scrittura, mentre al cibo…). Ho notato che rendo meglio in prossimità di scadenze (specie se stringenti, come buona parte dei pigri) e ho visto sotto altra luce i consigli del buon Stephen King. E cos’altro sono, le 2000 parole al giorno consigliate dal Re, se non una forma di scadenza giornaliera? Così ho ‘’ritarato’’ in un ‘’divide et impera’’ dei racconti più lunghi al fine di perseguire obiettivi alla mia portata e mi sono imposto di scrivere quotidianamente almeno 5000 caratteri, sfruttando tutti i momenti possibili (non sono molti, ma il fatto di essere pendolare aiuta, specie se i treni non brillano per puntualità). Finora sta funzionando, almeno finché ho idee da cui attingere. È ovvio che si tratta di una prima stesura, materiale grezzo che rivedo più volte e sottopongo ad almeno un paio di letture (fondamentale quella di mia moglie Tiziana, importantissima quella di colleghi e amici, come Manuela Costantini, giusto per fare un nome) prima di considerarlo proponibile.

In quanto all’horror, è sempre stato uno dei generi che mi vengono più naturali, uno di quelli con cui sono cresciuto. E me lo ricorda lo specchio, tutte le mattine.

Puoi descriverci l’esperienza del contest di The Tube ?

Travagliata ed esaltante.

Dopo aver bramato la partenza del contest, mi sono ritrovato del tutto senza idee. Ma come?, mi dicevo, Hai rotto tanto le scatole che iniziassero le selezioni e adesso non ti viene nulla? E sono andato avanti per un paio di settimane abbondanti a cercare l’ispirazione, prima che arrivasse. La serie però era andata oltre e ho dovuto ricominciare perché quell’idea era già vecchia e inadatta. Poi, per fortuna, Franco Forte ha avuto l’intuizione di aprire la serie parallela The Tube Exposed e questo mi ha consentito di inquadrare meglio l’abbozzo che stavo collaudando nella mia testa. Ho coccolato l’idea per un altro paio di settimane, più o meno, quindi ho preso il coraggio a due mani e l’ho scritta, l’ho rivista e l’ho fatta leggere ai miei beta-reader. Una volta avuto il loro benestare e dopo aver apportato le opportune correzioni, ho inviato il tutto, predisponendomi a una lunga attesa.

Un giorno e mezzo dopo, invece, in ufficio ho ricevuto una mail di Franco. Mi è bastato leggere le prime parole per avere il desiderio di esultare nemmeno fossi un calciatore che segna un goal al Santiago Bernabeu, ma ovviamente ho dovuto trattenermi. Certo, dovevo cambiare qualcosa, come il finale, ma la soddisfazione è stata immensa. Ho trascorso i giorni successivi a sistemare il racconto, lavorandoci su anche fino alle tre di notte, allungandolo e confrontandomi con Franco, che è stato come sempre un maestro di altissimo livello. E alla fine eccomi qua.

Vedermi lì, su Amazon, insieme agli altri amici che sono approdati a The Tube è davvero esaltante, mi aiuta a tenere a bada pessimismi e insicurezze, che mi accompagnano sempre.

Quali consigli daresti a coloro che partecipano alla selezione?

Non so se sono in grado di dare consigli che possano andare bene per tutti. Posso però dire che è importantissimo concentrarsi sui personaggi, renderli vivi, creare un legame empatico tra loro e il lettore. In fondo (ma nemmeno troppo), le storie di zombie più riuscite non sono quelle che puntano di più sull’effetto speciale o sul quantitativo di sangue e frattaglie, ma quelle dove un lettore, o uno spettatore, può immedesimarsi o “innamorarsi” di questo o quel personaggio e palpitare per ciò che le/gli succede. Parlando di The Walking Dead, più Lee e Clementine (eccezionali protagonisti della prima stagione del videogioco) e meno Lori e Rick (tra i personaggi principali della serie televisiva, che per fortuna ne ha altri molto più interessanti). Personaggi da far amare, e, una volta raggiunto l’obiettivo, da ficcare nelle situazioni peggiori. Alla fine, è quello che ho cercato di fare io.

Altra cosa, a rischio di sembrare ripetitivo: non arrendersi mai, tenere duro. Questo sia in fase di stesura, sia quando il racconto è in fase di valutazione da parte della redazione e magari non è andata come si sperava. Lo so che scrivere un testo così lungo è un impegno notevole, e venire “rimbalzati” è un brutto colpo, ma guardando le cose nella giusta prospettiva è tutta esperienza, tutto allenamento. È materiale di cui far tesoro e da usare come trampolino per provarci di nuovo, più preparati e consapevoli.