Quali sono i dettagli che ritieni di aver curato maggiormente nella trama e nelle scene del libro? 

Cerco sempre di curare in modo particolare i personaggi e l’ambiente e spero di esserci riuscita. Per me sono entrambi aspetti indispensabili perché permettono di immergersi nel mondo che appartiene solo a quel determinato libro e quindi andrebbero seguiti con speciale attenzione. Poi ovviamente c’è il fattore gusto personale.

Che progetti hai in merito a La scacchiera nera? Ti fermerai a una sorta di romanzo autoconclusivo oppure intendi portare avanti il progetto?

In effetti quando ho presentato il libro all’editore il mio progetto prevedeva che fosse il primo di una trilogia (il materiale era davvero tanto!) e abbiamo pensato di tentare la sorte con il singolo primo volume, anche per la sua forma quasi autoconclusiva. Adesso però, e chi segue il mio blog lo sa già, sto lavorando al seguito. Quindi si può dire che prima o poi dovreste riuscire a leggere il secondo volume a cui spero seguirà anche il terzo, perché altrimenti la storia resterà sospesa.

Parliamo un po' di te: per quale motivo hai cominciato a scrivere?

Divertimento. Un passatempo che probabilmente è nato un giorno in cui ero rimasta senza libri nuovi da leggere e cruciverba da risolvere. Ma è stata una lunga avventura riuscire a finire il primo lavoro.

Quanto hanno influito gli studi compiuti sinora sulla tua evoluzione stilistica e sul contenuto?

Non saprei. A dire il vero alcuni mi dicono che leggendo i miei lavori si sente un certo influsso ingegneristico, altri che si avvertono tracce del liceo classico. Probabilmente entrambe le cose sono vere. Immagino che i lunghi anni di studio mi abbiano influenzato nell’impostazione del lavoro e nella risoluzione dei problemi di trama. Ma dopo tutto, gli ingegneri studiano modi creativi per risolvere problemi, quindi il passo non è stato tanto difficile né innaturale come potrebbe sembrare.

La maggior parte degli scrittori trova molto difficile mettersi in contatto con un grande editore per veder pubblicato il proprio libro nel cassetto. Tu come ci sei riuscita? Ti sei rivolta a un’agenzia letteraria o hai semplicemente tentato di inviare il tuo manoscritto?

L’ultima. Ho semplicemente spedito il manoscritto e poi mi sono dimenticata d’averlo spedito. Sono arrivati i primi no, naturalmente, e non è che mi aspettassi risposte molto diverse. È passato un bel po’ e poi un giorno mi hanno contattato, cogliendomi del tutto alla sprovvista. Ripensandoci adesso è stata una cosa piuttosto surreale. In realtà veder pubblicato un proprio libro non è una cosa facile, ma evidentemente può succedere!

Hai qualche consiglio per coloro che vorrebbero raggiungere il tuo traguardo?

Lavorare su cose che appassionano. E avere pazienza: gli editori hanno oceani di manoscritti da valutare. Continuare a scrivere (per il proprio divertimento e non con il pensiero di essere pubblicati) e trovare il proprio stile; servirsi anche dei no, di quelli motivati principalmente, come stimolo e suggerimento. Ma l’unico consiglio vero che si può dare a chi desidera scrivere è di domandarsi se ama leggere. Se è così allora ha una possibilità. Perché la cosa più importante è essere curiosi e divorare libri. Solo così si può imparare davvero qualcosa.

Quale di queste affermazioni potrebbe riguardarti personalmente?
un libro deve trasmettere sentimenti;
un libro deve contenere una morale;
un libro dev’essere scritto col solo obiettivo di appassionare il lettore.

La prima sicuramente, anche se più che trasmettere per me occorre evocare sentimenti. Non penso necessariamente all’amore, di cui si parla sempre tanto: c’è un range vastissimo di emozioni tra cui scegliere! Malinconia, gioia, dolore, noia, ansia, rabbia, paura. Si deve solo scegliere come e quanto intrecciarli!

L’ansia del produrre un romanzo appassionante a ogni costo invece non ci dovrebbe appartenere; se si riesce a ottenere il meglio possibile dalla storia che si ha per le mani, a raccontarla come meritava insomma, il racconto coinvolge da solo il lettore.

Per quel che riguarda il messaggio, il contenuto ‘invisibile’ del libro (morale suona come qualcosa da insegnare e non credo proprio di essere sufficientemente saggia), ho sentito pareri di tutti i tipi. Il fatto è che non lo inseriamo mai volontariamente, in genere raccontiamo solo una storia; tuttavia, parlando delle scelte dei nostri protagonisti, a mio parere forniamo domande e saranno i lettori che devono trovare risposte. Ognuno troverà le proprie. In questo senso probabilmente anche la seconda affermazione mi appartiene un po’. Immagino che scrivere un libro che non ti lascia niente addosso, nessuna domanda, nemmeno la più sciocca, lo renda inutile e presto dimenticato, ma scriverlo per questo unico motivo lo renderebbe pedante e macchinoso. Il presunto scopo finirebbe per schiacciare la storia che è l’unica vera ragione per cui sediamo ore al computer o ci prendiamo il disturbo di leggere. Il racconto e il libro fantastico sono narrativa di intrattenimento e questo è il loro pregio più grande!