Tornai a portarmi sopra la tomba, e mi accoccolai di nuovo. Vagamente, sentii gli scatti della macchina fotografica, del tutto irrilevanti, mentre posavo la mano sulla terra smossa, in modo da stabilire il massimo collegamento possibile, senza sdraiarmi sul terreno.

Guardai in direzione di Tolliver.

– Qui c’è qualcosa che non va – affermai, a voce abbastanza alta perché lui mi potesse sentire, inducendolo a tornare verso di me.

– C’è qualche problema, Signorina Connelly? – domandò il Dottor Nunley, con voce accesa dal disprezzo. Quello era un uomo che amava avere sempre ragione.

– Sì – risposi, poi mi allontanai dalla tomba, mi scrollai e tentai di nuovo. Fermandomi esattamente al di sopra di Josiah Poundstone, tornai a protendermi verso il sottosuolo.

Stesso risultato.

– Qui ci sono due corpi, non uno solo – dichiarai.

Prevedibilmente, Nunley cercò  di trovare una spiegazione plausibile.

– Una bara avrà ceduto nella tomba accanto – commentò con impazienza, – o qualcosa del genere

– No, il corpo che si trova più in basso è in una bara intatta – ribattei, traendo un profondo respiro, – mentre quello posto più in alto non lo è, ed è molto più recente. Inoltre, questo tratto di terreno è stato smosso da poco.

Finalmente interessati, gli studenti tacquero, e il Dottor Nunley consultò le sue carte.

– Chi… chi vede… lì dentro? – domandò.

– Il corpo più in basso, quello più antico… – cominciai, chiudendo gli occhi per cercare di raggiungere il cadavere sottostante passando attraverso l’altro, una cosa che non avevo mai fatto prima di allora. – È il corpo di un giovane di nome Josiah, come dice la lapide. A proposito, è morto di avvelenamento del sangue, dovuto a un taglio.

L’espressione di Nunley mi disse che avevo ragione: comunque il prete avesse descritto la morte di Josiah, le conoscenze moderne non avevano difficoltà a riconoscere i sintomi. Quello che forse il prete non aveva saputo, tuttavia, era che il taglio era stato prodotto da una coltellata inflitta in una lotta. Potevo vedere il coltello penetrare nella carne del giovane, percepire i tentativi da lui fatti per fermare l’emorragia. L’infezione però l’aveva ucciso.

– Il corpo più in alto, quello più recente, è di una ragazza – aggiunsi.

Scese un silenzio improvviso quanto assoluto, tanto che potevo sentire il traffico di passaggio sulle strade distanti alcuni metri dal vecchio cimitero.

– Quanto è recente il secondo corpo? – domandò Tolliver.

– Due anni al massimo – risposi, inclinando la testa di qua e di là per effettuare una “lettura” il più accurata possibile. Per valutare quanto siano antiche delle ossa, mi baso soprattutto sull’intensità della vibrazione e della sensazione che emanano. Non ho mai detto di essere una scienziata, ma di solito ho ragione.

– Oh, mio Dio – sussurrò una delle studentesse, cogliendo infine il senso implicito delle mie parole.

– È una vittima di omicidio – affermai. – Si chiamava… Tabitha.

Nel sentire quello che la mia voce stava dicendo, fui pervasa dalla spaventosa sensazione di un disastro incombente: l’uomo nero era balzato fuori da dietro la porta e mi aveva urlato contro.

Mio fratello attraversò lo spazio che ci separava come un quarterback giunto in vista della meta. Si fermò  appena prima di calpestare la tomba, ma ormai era abbastanza vicino da potermi prendere la mano. I suoi occhi incontrarono i miei, esprimendo il mio stesso sgomento.

– Dimmi che non è lei – disse, fissandomi intensamente.

– Lo è – replicai. – Abbiamo infine trovato Tabitha Morgenstern.

Dopo un momento, durante il quale i membri più giovani del gruppo si guardarono a vicenda con espressione interrogativa, Clyde Nunley domandò:

– Vuole dire… la ragazza che è stata rapita a Nashville?

– Esattamente.

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