Per avere successo nella narrativa bisogna innanzitutto scrivere un buon romanzo o un certo numero di buoni racconti. Ovvio, ma anche se si tratta di un elemento basilare non è l’unico fattore importante. Bisogna anche avere fortuna e arrivare sul mercato al momento giusto. O incontrare le persone giuste che credano nello scrittore e in ciò che stanno proponendo al pubblico, anche se magari le loro idee sono controcorrente.

La storia della letteratura è piena di casi di manoscritti rifiutati anche da importanti case editrici successivamente acquistati da qualcun altro che, viste le potenzialità del testo, lo ha fatto diventare un bestsellers di livello nazionale, quando non addirittura mondiale. Famosissima è la vicenda di J.K. Rowling, il cui Harry Potter e la pietra filosofale fu rifiutato da una dozzina di editori primi di approdare da Bloomsbury e diventare l’enorme successo che tutti conosciamo.

Riconoscere le potenzialità di un’opera prima ancora che venga pubblicata, magari quando ancora va risistemata e in parte riscritta, non è certo una cosa facile.Soprattutto se appartiene a un genere ritenuto stagnante, incapace di proporre opere nuove e di interessare al grande pubblico.

Come ricorda Terry Brooks nei primi anni ’70, quando lui era alla ricerca di un editore per La spada di Shannara, “c’era la convinzione che la fantasy non vendesse, che i lettori fossero pochi e appartenessero a una sottocategoria della fantascienza e che le possibilità di espansione fossero limitate. Sì, J.R.R. Tolkien aveva venduto centinaia di migliaia di copie del Signore degli anelli e dello Hobbit, ma questo perché era Tolkien, e come lui non ce n’erano altri. La fantasy, come narrativa di “genere”, era troppo fuori della realtà per essere commerciabile presso il pubblico più vasto.” (1)

Se la convinzione generale non fosse stata infranta noi non avremmo mai letto un’infinità di opere che negli anni successivi si sono affacciate sugli scaffali delle librerie. Per fortuna qualcuno riteneva che queste idee fossero tutte sciocchezze e che al contrario ci fossero enormi possibilità di vendita. Quell’uomo era Lester del Rey, e con La spada di Shannara dimostrò agli altri che era lui ad avere ragione.

Del Rey, il cui vero nome era Ramon Felipe San Juan Mario Silvio Enrico Smith Heathcourt-Brace Sierra y Alvarez-del Rey y de los Verdes, nasce a Saratoga, nel Minnesota, il 2 giugno del 1915. Anche se la sua famiglia è povera riesce per un breve periodo ad andare all’Università mantenendosi con svariati lavori. L’esordio nella narrativa risale alla fine degli anni ’30 con il racconto The Faithful acquistatogli da John W. Campbell Jr per la rivista di fantascienza Astounding. Durante gli anni successivi Lester continua a pubblicare su svariate riviste come Unknown, anch’essa diretta da Campbell, e Fantasy Magazine, diretta dallo stesso del Rey nella prima metà degli anni ’50.

Gli autori presenti nella rivista sono molti, fra loro figurano Lyon Sprague De Camp con due racconti dedicati a Conan e uno, insieme a Fletcher Pratt, dedicato ad Harold Shea, Philip K. Dick, Randal Garrett, Harry Harrison, Robert Shekley, Clark Ashton Smith e John Wyndham.

Isaac Asimov, che è stato suo amico oltre che collega per tanti anni, ricorda come Lester si sia occupato di fantascienza “praticamente in ogni possibile veste: direttore di rivista, curatore di collana, recensore e autore, un vivido esempio d’incredibile sovrapposizione delle diverse funzioni che caratterizzano questo nostro genere letterario.” (2)

Asimov, da sempre più legato alla fantascienza, parla del genere che conosce meglio, ma del Rey, la cui bibliografia particolarmente lunga comprende romanzi quali Epopea di giganti (1959) e L’undicesimo comandamento (1962) e racconti come Le ali della notte (1942) e La fata madrina (1991), riusciva a dare il suo tocco personale a qualunque genere o attività su cui mettesse mano. Qualche riga dopo Asimov, che lo considera un autore troppo poco apprezzato in rapporto ai suoi meriti, dice che è “sempre chiaro e interessante, qualunque cosa faccia. Sia che scriva una storia di fantascienza, una eulogia o un necrologio, ci sono sempre delle vivide intuizioni nelle sue parole che non credo potreste trovare da nessun’altra parte.

Ascolto sempre con la massima attenzione ciò che dice Lester, poiché so che incapperò certamente in qualche vivida favilla che potrò assimilare e sfruttare come parto del mio stesso pensiero. A Lester non importa; c’è grande abbondanza di faville là, nel suo cervello, donde queste sono sprizzate.”