Allora, io provavo un tormento reale e profondo. Inoltre, voltavo le spalle a tutte quelle storie che, pur fragili ed effimere, sono comunque capaci di regalare attimi di genuina felicità. Mi limitavo a tentare, con scarso profitto, sporadiche e svogliate “avventure”. Situazioni vissute più a beneficio dell’opinione altrui che della mia soddisfazione.

Avevo anche amato, certo. Ma, quando avevo amato sul serio, con cocente avidità, avevo puntualmente dovuto soffocare con le lacrime l’incendio della delusione. Ovviamente ne soffrivo, e in modo esagerato. Fino ad entrare in una sorta di loop, di ossessione-compulsione dominata da un'irrazionale inquietudine che, romanticamente, definivo "Dolore".

Era forte, quel giorno, questo... Dolore.

Alcune piaghe s’erano riaperte in modo traumatico. I poteri del dubbio fremevano, forti come non mai. Come cunei, s’infilavano nelle crepe dello spirito, rendendo volta vulnerabile. Decisamente fuori fase, mi sentivo soprattutto stanco. Stanco per pensare. Per reagire. Per capire che quella spossatezza dell’animo che permeava ogni pensiero di pernicioso pessimismo non era solo una mia prerogativa.

Intanto scivolavo verso una sciagurata soluzione. Come uno zombie senza più volontà, m’avviavo ad un gesto che ancora oggi non riesco in alcun modo ad associare alla mia personalità. Bizzarra tuttora, ma certo non così profondamente insensata.

Potevo farlo. Giusto? Sbagliato? Che importava?

Ero quasi curioso. Potevo farlo.

Pericolosa consapevolezza. Le mie gambe tremavano, le ginocchia molli. I palmi eruttavano ghiaccio liquido. Il mio Io, incatenato e inerme, urlava tutta la sua ripugnanza. Vanamente. Il senno giaceva sconfitto.

Nel momento più sbagliato.

I miei occhi si tuffarono, percorsero il muro, anticiparono il volo, rallentando quello che sarebbe stato un istante. Scesero adagio, sfidando la vertigine, seguendo le rocciose asperità del pendio. Era alto abbastanza? Ancora un passetto. Un passetto soltanto. La demenza di un attimo. Un lampo. Un breve volo. Un grido, forse. Di paura o liberazione. E poi, più nulla. Niente paradiso, ma anche niente inferno. E niente rinascita. Non conoscevo ancora la dura legge del samsara, allora.

Ero pronto. Portai lo sguardo al sole. Per sfida, o forse nell’inconscio tentativo di abbagliarmi la vista, per non vedere la morte schiantarmisi contro. Gli occhi cercarono la luce, non l’oscurità, che già mi apparteneva. Respirai a fondo. Non dedicai a nessuno i miei ultimi pensieri. Chiusi la mente, per quel poco che ancora funzionava, e stop.

- Vuoi farmi una foto? - Una voce femminile.

Bastò. L’altro passo, quello fatale, non fu fatto. Quel suono disperse la follia, inondandomi di vecchie e nuove speranze, restituendomi una vita che già perversamente aveva assaporato una precoce fuga.

- Scatta, dai! Che ti costa? - Il tono era quasi capriccioso.

Non mi voltai, non subito. Per qualche istante, la mia fantasia giocò ad immaginarne i lineamenti, i capelli, il corpo, e tutto ciò sull'unico indizio di un timbro delicato ma deciso, tonalità dolci e spiritose assieme.

E se la fantasia correva libera, allora voleva dire che avevo vinto. Che ero salvo.

Solo allora osai voltarmi a scoprirla. Spalancai gli occhi, suppongo, o magari le mie labbra formarono una silenziosa esclamazione di stupore che lei di certo colse. La trovai d’istinto meravigliosa. In realtà, ampliai le qualità di una bellezza che oggi riconosco nella norma. Lei sogghignò divertita davanti alla mia espressione fuor di dubbio ridicola. Mi ricomposi. Che strano: lei aveva un non so che di familiare. Ne ero sicuro. Com’ero peraltro sicuro di non averla mai incontrata prima.

Due profondità nocciola parevano prendermi in giro da dietro le lenti d’un paio di occhiali dall’elegante montatura nera. Due occhi puliti, senza trucco, se non forse un garbato accenno di rimmel e matita. Il naso era piccolo, timido. La bocca s’atteggiava ad un divertito sorriso. I vaporosi ricci castano scuro, anziché anonimi, si confacevano alla perfezione al suo viso e alla sua figura. Un carré alto li chiudeva impeccabile sulla nuca, scoprendo un nobile collo sottile che avrebbe fatto vibrare per sensualità qualsiasi esteta giapponese. Di statura, era di poco superiore alla media femminile.

- Be’?!.. Sveglia, amico! - insisté gioviale di fronte al mio imbarazzato silenzio. – Portò la mano destra agli occhiali che, liberando tutto il liquido brillio dello sguardo, ricaddero appesi a una cordicella sul suo petto, confondendosi fra l’antracite della maglia a mezza dolcevita e il giaietto del giaccone aperto. - Ci sei, o vivi in altri mondi?

Avrei voluto ridere, ma mi contenni. Era una situazione pazzesca! Un attimo prima uno sta per ammazzarsi, quello successivo si fa contagiare dall’allegria invadente d’una sconosciuta.