Lei si voltò nella mia direzione, e il suo viso si colorò di nuove beffarde sfumature briose: - Cenerentola?

Così dicendo balzellò verso la roccia e insinuò il piccolo piede nella fessura. - Lo vedi, ragazzo di poca fede? E’ l’impronta del mio piede.

- Uh, sì, come no... - sorrisi a mia volta, scuotendo il capo di fronte a tale bizzarria.

- Ora non mi credi, forse poi cambierai idea.

Poi, sempre sghignazzando, balzò sbarazzina fino a me, e tenendosi sul mio braccio si rimise su lo stivale. - Allora, cos’è ‘sta faccia da scemo? Avevi promesso d’offrirmi da mangiare, se non sbaglio...

D’impulso, la presi sottobraccio e la portai via.

* * *

- La rivedi spesso? – chiese Magda.

- No, di rado - risposi.

Il medio della mia mano destra seguiva nervoso l’orlo del bicchiere, mentre il mio breve passato si schiudeva per sequenze scomposte. Mi accigliai, assorto. - Qualche volta ci sentiamo, per telefono... - aggiunsi, dopo un’altra sorsata di Coca. - L’altro giorno ho ricevuto una sua cartolina: poche frasi, simpatiche, spigliate. I suoi saluti. - Svogliatamente, diedi un altro sorso; poi sbuffai. - Quanto poco è sufficiente ad uomo per riaccendere le luci di fuochi lontani.

Lei sbatté le ciglia. Con le dita, grattò via un residuo secco di pasta-crema dalla tovaglia.

- Lei era il vento - sentenziò. - Si può amare il vento. Il vento è meraviglioso, è libertà - spiegò, quasi cattedratica. - Ma il vento soffia, e va. Non sai quando, e se, torna.

Suonava vero. Andava solo accettato. Mica facile.

- In fondo, a pensarci bene, lei non faceva per me – conclusi. - Non guardava mai le foglie secche. Non osservava il cielo, non respirava il mare. Non sapeva leggere nelle lacrime di un uomo. No, non era nemmeno lei.

Dopo un'oretta, lasciammo la trattoria.

Ci ritrovammo a passeggiare in un bosco vestito di nebbia, mano nella mano. A parlare della vita, del mondo, della gente.

Poi, Magda mi chiese un passaggio per andare a Trieste.

Non ci pensai nemmeno di chiederle come fosse arrivata lassù. Raggiungemmo la mia vecchia A112, e mi misi in marcia, con gli occhi incollati al lunotto. La nebbia non dava tregua.

-Puoi fermarti, per piacere? - chiese lei.

Prontamente, inserii la freccia, rallentai e accostai, portando l’auto oltre il ciglio della strada. Spensi il motore. M’ero premunito di trovare uno spazio ampio, ben di là della carreggiata. Considerata la visibilità, non volevo correre il rischio che qualcuno ci arrivasse addosso.

- Che c’è?

- Mi scappa la pipì - confessò candidamente, sfoggiando un’innocente espressione da asilo.

- OK, ma fa attenzione. - Stetti al gioco, simulando un tono paterno, seccato ma accondiscendente.

Lei aprì la portiera scassata dell’A112 e si diresse filata verso il bosco vicino. Lì, il banco di nebbia era particolarmente fitto. Scesi anch’io. Arrivando, qualche decina di metri più indietro avevo scorto l’entrata d’un piccolo cimitero. Non ci avevo mai fatto caso, prima. Alla luce del sole. C’era voluto l’impedimento della nebbia per farmelo notare. Eppure, era sempre stato là. Decisi di darci un’occhiata.

- Torno subito! - avvertii a voce alta. - Aspetta in macchina, è aperta.

Entrai nel camposanto. Un silenzio totale, pregno e statico, mi accolse. Persino il rumore prodotto dalle sporadiche vetture che transitavano incerte lungo la strada adiacente si disperdeva, annullandosi in ogni singola particella di umidità.

Il cimitero era piccolo e non ospitava molte tombe. Alcune di queste erano nient’altro che modesti tumuli di terra, distinti da un minimo di lapide. Altre erano dei classici sepolcri marmorei. Pareva una scena rubata ad un film horror, con quelle croci spettrali confuse nell'imperante caligine. Avanzai. Una donna, unica presente oltre a me, singhiozzava davanti a una delle tombe nella prima fila di sinistra. La guardai meglio. Sulla sessantina, abiti modesti.

- Santa Maria, Madre di Dio, prega per noi peccatori, adesso e nell'ora della nostra morte. Amen. – La sentii pregare.

Un profondo disagio mi colpì: con quale diritto venivo a spiare, forse a disturbare, il suo dolore?

Mi feci il segno della croce.

Non per istinto. Non era un mio istinto.

Non per fede. In verità, non la sentivo come la mia fede, nemmeno allora.

Non per scaramanzia, non per paura.

Per rispetto. Per rispetto di quelle anime che lì rimpiangevano i propri corpi perduti. Per rispetto per quella donna, che credeva nella sua preghiera alla Madonna.

Feci per andarmene, ma una voce calò, tenue e tremula, e insieme pesante come una ghigliottina, a fermarmi. La vecchia s’era accorta della mia presenza. Avrei voluto evitarlo.

- Te zerchi qualchedun? - una domanda secca, tagliente come il dialetto triestino. Un quesito imbarazzante. Mi vergognai. Molto. Provai quasi rimorso. Ero venuto spinto dalla sola curiosità. Pur considerando la mia confusione religiosa, quel luogo era comunque sacro. Se non a Dio, agli uomini.