Cosa succede quanto un abitante di un altro mondo, specie se dotato di magia, viene mandato sulla Terra?

Naturalmente problemi.

Ancor di più se si tratta di una ragazza adolescente nata dall'unione tra un umano e una silfide, figlia del mondo terrestre, di un regno magico e di quello delle fate. Così Mistaya, educata da maghi, streghe ed esseri incantati come lo sono la Madre Terra e il nonno, il Signore del Fiume, non riuscendo ad adattarsi all'ambiente del collegio del New England dove il padre, il re di Landover Ben Holiday, l'ha mandata per farle conoscere nuovi ambienti, non fa che trovarsi in guai uno dopo l'altro sempre più grossi. Fino a quando la direttrice del prestigioso istituto non decide di sospenderla.

Una punizione che Mistaya non vede come tale, anzi, ma come un modo per poter tornare a casa e lasciare quel mondo ai suoi occhi così limitato e ottuso, pieno di regole astruse e sbagliate. Come ogni genitore che si rispetti, di fronte ai colpi di testa di una figlia ancora giovane, ma che ritiene già di poter decidere per la propria vita senza che nessuno intervenga, Ben Holiday non la prenderà bene, scatenando una di quelle discussioni che genitori e figli tanto bene conoscono, portando rabbia, risentimento e incapacità di capirsi l'un l'altro. L'energia dell'adolescenza, il pieno della crescita, del non sapere che cosa si vuole esattamente dalla vita, da una parte; l'equilibrio raggiunto dopo un'esistenza di prove, con la posatezza del ricoprire un ruolo importante che però ha fatto perdere quello slancio vitale tipico degli anni della giovinezza, dall'altra. Due mondi distanti, dove l'avvicinamento è possibile solo se entrambi le parti fanno un passo avanti.

Ma prima che questo avvenga ci sono arrabbiature, musi lunghi e silenzi ostinati. In un ambiente che comincia ad avvertire ostile, asfissiante, che toglie l'aria e tarpa le ali, dove sembra che tutto congiuri contro la propria persona sentendosi sola e abbandonata, nonché incompresa, Mistaya decide di fuggire di casa quando il padre vuole mandarla per un periodo di tempo a mettere ordine nella biblioteca reale: decisione questa, unita al malinteso sorto dalla proposta di matrimonio del disprezzato Laphroig di Rhyndweir, che la spingono a cercare asilo presso il nonno materno, il Signore del Fiume.

Ed è qui che riceverà un sostegno inaspettato, ritrovandosi a ripercorrere senza volerlo e saperlo lo stesso cammino del padre: è proprio sulla via che conduce al Paese dei Laghi, come accadde molti anni prima al genitore da poco re di Landover quando si ritrovò ad aver perso se stesso, che la ragazza fa l'incontro con colui che fu guida di Ben Holiday: Edgewood Dirk. E Mistaya, a differenza delle intenzioni iniziali, si ritroverà ascoltando i criptici consigli del gatto prismatico a recarsi proprio nel luogo dove non voleva andare: Libiris. Un luogo, come le persone che vi incontrerà, che è più di ciò che appare e che naturalmente nasconde un segreto.

 

Terry Brooks in questo sesto capitolo sul mondo di Landover decide di dare uno stampo adolescenziale alla storia, adattandolo all'età della protagonista, dove tutto ruota attorno a lei e al suo punto di vista: l'incomprensione verso il modo di vedere e pensare degli adulti, il non sapere quale strada prendere, la testardaggine, la presunzione e l'irruenza che non fa riflettere, il cominciare a conoscere il sentimento dell'amore. Un punto di vista che per una prima parte dà nuova linfa a questa saga, sembra far riemergere lo spirito presente nei primi libri, dove si percepiva l'aura magica che pervadeva ogni cosa, allontanandosi dai toni cupi che avevano aleggiato in La Scatola Magica di Landover e La Sfida di Landover; una spensieratezza che è una brezza rinfrescante, leggera.

Forse troppo leggera.

Per quanto Landover fosse distante dall'epicità della saga di Shannara (almeno dei primi due cicli), non è mai stata una saga superficiale, affrontando tematiche importanti (come la conoscenza di se stessi, l'incomprensione che la differenza tra le razze può portare, il scegliere tra i propri desideri e il fare la cosa giusta) con quel tocco d'umorismo che non appesantiva, ma che anzi poteva aiutare a comprenderli meglio. E lo faceva soprattutto attraverso i personaggi che affiancavano Ben Holiday, protagonista dei primi cinque libri (ma già in La Sfida di Landover si stava dando spazio alla figlia): Abernathy, Willow, Questor Thews, Strabo, Edgewood Dirk.

Figure il cui spessore in questo libro viene a mancare, utilizzate come semplici comparse o spalle della protagonista. Certo, dopo tanti anni fa piacere rincontrarle, come vecchi amici che gli impegni e la distanza hanno tenuto lontano a lungo, dove il ritrovarsi è un modo per rievocare le esperienze passate e lasciarsi andare ai ricordi. Ma il passato, seppur piacevole e capace d'addolcire il presente, non lo può cambiare: le vicende di La Principessa di Landover, più che una storia vera e propria, sembrano un modo per tornare a far visita al mondo di Landover e ricordare i fasti trascorsi, memori che il passato non ritorna e le cose che un tempo erano state non sarebbero tornate. Con dispiacere si deve costatare che la vena di Brooks non è più la stessa, come già si aveva avuto modo di vedere negli ultimi cicli del mondo di Shannara, da Il Viaggio della Jerle Shannara in poi.

Terry rimane un buon narratore, lo stile rende la lettura gradevole e ottiene lo scopo d'intrattenimento, ma questo non riesce a cancellare diverse perplessità nate da imprecisioni e scelte che non sfuggono allo sguardo, soprattutto in chi ha seguito la saga fin dal primo libro.

Il romanzo si apre riprendendo dal punto in cui il precedente, La Sfida di Landover, terminava, allettando l'immaginazione del lettore e preparandolo a un ritorno dove conti lasciati in sospeso sarebbero stati saldati. Invece nulla, è solo un pretesto per avere un legame con i libri precedenti, ripetendo qualcosa di già visto; al massimo, visto quanto accadrà nell'evolversi della trama, può essere considerato come un tenere la porta aperta per un'eventuale pubblicazione di un'altra avventura di questa saga.

Andando avanti, nei primi capitoli si nota una grossa imprecisione facendo riferimento alle vicende passate. Ben Holiday, in attesa di ricevere una visita, si trova per l'ennesima volta a riflettere sull'importanza del Medaglione che porta al collo, che lo fa riconoscere come re di Landover e sul fatto che nessuno glielo possa togliere: lui è l'unico che può sfilarselo. Proprio un'esperienza passata gli fa tenere a mente l'importanza di tale realtà. Ma non è, come scritto nel libro, legata all'inganno perpetrato da Meeks, il mago che gli vendette il regno: perché Meeks in L'Unicorno Nero fece cadere Ben con una potente illusione nell'inganno di non avere più il Medaglione, ma nei fatti questa era solo una menzogna, dato che il prezioso oggetto non aveva mai lasciato il collo del regnante. Oggetto di cui Ben invece si separa volutamente in Mago a Metà quando Questor Thews tenta un incantesimo per riportare Abernathy, lo scrivano di corte dalle sembianze canine, allo stato originario d'essere umano.

Poco convincente appare l'"avversario" che Mistaya deve affrontare, anche lui privo di spessore e pericolosità come invece lo sono stati il Marchio di Ferro, Meeks e la Strega del Crepuscolo: una macchietta i cui piani sono scontati (ma comprensibili), ma che non si capisce il motivo perché non si sia deciso ad agire prima, quando c'erano opportunità migliori, rimanendo nell'ombra per anni senza fare nulla, ritrovandosi ad agire (guarda la coincidenza) proprio nel momento in cui la ragazza sta vivendo la sua avventura. Una figura davvero poco consistente per far avvertire veramente l'aura di pericolo e tensione così necessarie per dare quel tocco necessario alla narrativa perché sia d'avventura.

In conclusione, La Principessa di Landover è una gradevole e scorrevole lettura d'intrattenimento, ma è lontana dalla magia dei primi volumi, non riuscendo ad aggiungere nulla a una saga che sembra ormai aver già detto tutto ed è un usare e ripetere copioni già visti.