Pensate in grande. Ora pensate ancora più in grande. No, forse non ci siamo ancora.

Qualsiasi aspettativa abbiate su The Avengers di Joss Whedon rischia di venire superata.

Abbiamo visto e letto di tutto in questi mesi: trailer, interviste, immagini dal set, poster. Ma nulla potrà sostituire la visione al cinema del film.

L'operazione di Whedon è celebrativa. Dimenticatevi revisionismi e dissacrazioni, non era questa la sede opportuna.

The Avengers nasce per celebrare il mito moderno della nascita di un gruppo di “supereroi con super problemi”, narrando la storia di come da una serie all'apparenza mal mescolata di individualità nasca, forgiata dal furore della battaglia, una squadra in grado di sviluppare un potenziale superiore alla somma delle parti.

Ci sono tutti gli elementi che caratterizzano il canone delle storie supereroistiche.

I film che in precedenza hanno visto protagonisti alcuni dei personaggi ossia, Iron Man, Thor, Capitan America, Hulk, non hanno solo raccontato le origini, ma li hanno presentati come individualità, messe a confronto con i propri cambiamenti di stato, con la reazione dell'ambiente circostante, passando attraverso lo scontro con il supercriminale come esplicitazione del momento dell'accettazione del proprio ruolo nel mondo.

Uno contro tutti insomma, dove tra i tutti ci sono anche gli avversari di turno.

Stavolta la struttura del fim è corale. Ci sono sei personaggi principali, Capitan America, Hulk, Iron Man, Thor, Occhio di Falco e la Vedova Nera, ciascuno con delle precise intenzioni e aspettative.

Pertanto vengono moltiplicate le fonti di conflitto. Ciascuno dei personaggi confligge non solo con l'ambiente ma anche con gli altri personaggi. A questa mistura esplosiva aggiungiamo il fatto che anche Loki, Nick Fury, l'agente Coulson e in misura minore Maria Hill e il professor Selvig sono tutt'altro che “ambiente”, ma degli effettivi comprimari con delle intenzioni narrative ben definite, ed ecco che abbiamo una vera e propria proliferazione dei conflitti.

Pertanto di incontri e scontri, fisici e verbali, di uno contro uno, è pieno il film. Paradossalmente più spettacolari e divertenti sono forse i duelli verbali, con dialoghi concitati, esilaranti in molti punti, un autentico marchio di fabbrica di Joss Whedon.

Tanti sono i momenti clou, uno dei più belli è appunto uno scontro verbale, tutti contro tutti, assistito da un efficacissimo piano sequenza.

Non che le prove tecniche non divertano. Vedere dopo tanti anni l'Eliveicolo dello SHIELD al cinema è un sogno che si realizza sia per noi che per Whedon, fan tra i fan.

Non mancano i “monologhi”, non solo dei cattivi, ma anche dei buoni.

Che i supereroi amino parlarsi addosso è parte del gioco. Anche in questo caso l'ironia e l'autoironia arrivano al momento giusto per stemperare tutti gli eccessi.

I personaggi si prendono sul serio, maledettamente, ma se non sono capaci di capirlo da soli, ci sarà sempre uno degli altri personaggi a ricordare di non esagerare, con una battuta che li riporta con i piedi per terra.

Si ride quindi in sala, di gusto. Si ride con i personaggi, non dei personaggi.

Ma non è tutto basato su conflitti e commedia il film. Arriva il momento in cui la squadra, nel furore della battaglia, si unisce, il momento in cui i singoli ragionano come gruppo, accettando il loro leader non per imposizione dall'alto, ma per meriti sul campo.

Questo è un elemento che da molto realismo alla figura di Capitan America per esempio, che se all'inizio sembra vivere di gloria pregressa, al momento del conflitto verrà riconosciuto come il capo del gruppo, come dovrebbe essere.

Arriverà anche il momento in cui capiremo quanto possano essere uomini di squadra gli inguaribili individualisti quali sono Thor e Iron Man. Verrà svelato il segreto di come Bruce Banner tenga sotto controllo Hulk, e verrà il momento per Occhio di Falco e la Vedova Nera di rendersi utili anche in mezzo ai grossi calibri.

Quanto a Loki, non è uno sparring partner, crede veramente di poter avere il suo trionfo, il riscatto del bambino piagnucolante geloso del “fratello bello”. Non è uno spoiler se vi dico che prenderà un sacco di legnate e che sarebbe meglio se si procurasse un buon dentista. E' il destino di ogni cattivo professionista che si rispetti. Fa parte del contratto.

Come fa parte del contratto lo sciamare come mosche dei Chitauri. Povera carne da cannone, degni colleghi dei killer mandati contro James Bond, degli sgherri mandati a decine contro il buono di turno. E' una categoria, quelle dei soldati abbattuti a grappoli, che andrebbe tutelata. Altro che tutine rosse di Star Trek. Vorrei dirvi di più su di loro, sul loro ruolo che in molti momenti sembra strumentale. C'è un passaggio, uno solo, che renderà loro giustizia, e che sembra il viatico a scenari futuri, non è detto che torneranno in Avengers 2, ma la possibilità c'è.

Non manca neanche la tragedia. Perché la guerra è morte e distruzione, e qui mi fermo. Corro il rischio di dire troppo.

Importante, vitale poi il ritorno a New York, la culla dell'era degli eroi ideati da Stan Lee (ovviamente presente con un cameo), l'ambientazione ideale di tutte le loro vicende. Non manca neanche il rapporto tra i newyorchesi e i propri eroi, in tutte le sue forme, sia quelle in cui c'è accordo e fiducia reciproca, sia quelle in cui il sospetto la fa da padrone.

Se state pensando che la distruzione di NY sia ormai noiosa e già vista, vi ricordo solo che prima di tutte le invasioni, dai Visitors a Indipendence Day, Stan Lee ambientò in quella città l'arrivo di Galactus e moltissimi scontri dei Vendicatori contro armate aliene. Si tratta quindi di un ritorno alle origini, non di un epigono delle invasioni aliene più recenti.

Non mancano poi tanti, tantissimi elementi che sono significativi nel contesto del film, ma che possono anche essere considerati un ponte verso il futuro, verso sviluppi narrativi dei seguiti tutti da scoprire. Non solo in virtù del solito siparietto finale, ormai imprescindibile nei film Marvel, sia perché disseminati con sapienza in forma di battute, espressioni dei personaggi, mezze parole, titoli di giornale, commenti.

Ne sono certo, certo non tutto sarà sviluppato, ma molti semi sono stati piantati per poter raccontare nuove storie in futuro.

Il film ha quasi tutti gli elementi per essere definito “il film supereroistico perfetto”, per l'equilibrio con il quale sono miscelati gli elementi canonici. A tutti gli effetti il fan ottiene ciò che più desidera. Però qualche conto non torna. Per raggiungere la perfezione assoluta sarebbero bastate delle trovate narrative che non facessero gridare al già visto troppe volte.

Non nella parte parlata del film, non nel momento degli scontri emotivi tra personaggi, e nella risoluzione degli stessi, che è la parte meglio riuscita del film.

A essere a dir poco convenzionale e scontata è la gestione dello scontro finale nella sua resa visiva e narrativa. Se in quelle scene si esaltano i momenti di affermazione personale, sono senza infamia e senza lode gli scontri con i Chitauri. Un particolare su tutti è veramente troppo visto, e bisognerebbe imporre un embargo sull'uso di questo escamotage per salvare la situazione. Non dico quale, ma ogni buon fan di Sci-Fi lo scoverà. Sono sofismi, me ne rendo conto. E alla fine non inficiano il giudizio finale, perché nonostante tutto l'emozione vince sui difetti. E' un film che amerò anche con la consapevolezza di tali imperfezioni.

La recitazione degli attori è funzionale agli scopi di un prodotto del genere. Spicca Robert Downey Jr., che bucherebbe lo schermo anche dormendo, e non demerita al suo cospetto Tom Hiddleston, in un ruolo a rischio macchietta, ma che l'attore inglese riesce ad evitare. Tra i “comprimari” continuo a confessare il mio smisurato apprezzamento per Clark Gregg, che ha fatto dell'agente Coulson un personaggio iconico.

La sceneggiatura, scritta dallo stesso Whedon su soggetto di Zak Penn, oltre ad avere i dialoghi eccellenti di cui sopra, è equilibrata, senza buchi, e così ben cadenzata nel ritmo da fare passare le due ore e ventidue minuti del film in un lampo.

I comparti tecnici, visivi e sonori assecondano con perizia il budget di più di 200 milioni di dollari e le visioni faranoiche di Joss Whedon, che come detto prima, maneggia molto bene anche una grammatica del cinema fatta di piani sequenza ed efficaci campi e controcampi. Non solo spettacolo quindi.

Sufficiente, professionale e adatta allo scopo, la partitura di Alan Silvestri, che ha creato per il gruppo un tema ben riconoscibile, inserendo opportunamente i temi principali dei personaggi (Cap in particolare) nei momenti topici.

Non vorrei essere banale, ma il 3D è come se non ci fosse. Non si tratta di una conversione di scarsa qualità, con l'effetto “sagome di cartone” per capirci, ma è proprio la sua invisibilità, sia in senso negativo che positivo, a fare dubitare che ne valesse la pena. Le scenografie grandiose di James Chinlund e Victor J. Zolfo, i grandi scontri, i superbi effetti visivi della Weta, bucano lo schermo anche in 2D.

Alla fine Zio Joss, nonostante qualche difetto, ha compiuto la sua missione con onore.

Avengers Assemble! E' un grido che tornerà nei cinema. Ne sono convinto.