Rayearth
Rayearth

I cosiddetti GDR, quindi, hanno svolto un ruolo di primo piano nella creazione di un certo modo di intendere il fantasy in Giappone. Attraverso romanzi e videogiochi, che con la propria diffusione hanno influenzato l’immaginario di milioni di persone (lettori, ma anche autori), le regole base dei giochi di ruolo sono ben presto divenute le linee guida generali anche di molti manga.

Il gruppo di personaggi, ognuno con caratteristiche ben definite e utili ad affrontare le diverse sfide; la missione per salvare il mondo e/o sconfiggere il cattivo; la caccia al tesoro per ottenere le armi, i mezzi, le magie, necessarie al completamento del compito prefissato; i nemici, di volta in volta sempre più potenti, per non parlare di “boss di fine livello”, poco a poco che ci si avvicina allo scontro finale.

Nascono, così, decine di titoli che tendono a scimmiottare in maniera più o meno pedissequa questi cliché. Tra i tanti, si distinguono dalla massa a sufficienza per essere citati almeno Matools No Ketsuzoko (in it. Blood of Matools) di Hajime Sawada, The Slayers di Hajime Kanzaka e Rui Araizumi e Mahō kishi Reiāsu (in it. Magic Knight Rayearth) delle CLAMP dei primi anni ‘90 e Record of Lodoss War – Farisu No Sejo (in it. Record of Lodoss War – Lady of Pharis) di Ryo Mizuno e Akihiro Yamada del 2001 (quest’ultimo, però, più per i disegni che per la storia vera e propria).

Sazan Eyes
Sazan Eyes

Tra i primi titoli a farsi notare perché si discosta un po’ da certi stereotipi, c’è sicuramente Sazan Eyes (in it. 3x3 Occhi) di Yuzo Takada, un seinen composto da 40 tankobon e pubblicato tra il 1987 e il 2002. In questo manga convivono ancora moltissimi elementi della tradizione fantasy orientale, come la condizione del personaggio di Yakumo (un essere umano divenuto un Wu, una sorta di accompagnatore/servitore immortale), l’origine e l’aspetto di molti dei nemici (nella maggior parte dei casi accostabili agli Oni, i demoni della tradizione giapponese) o certe tematiche affrontate nel corso della storia. Vi sono, però, anche diversi punti di contatto con il fantasy occidentale più main-stream, come un certo uso della magia e il tema del viaggio, o con i GDR, come l’idea di una sorta di “caccia al tesoro” per ritrovare tutti gli elementi necessari al completamento della missione (in questo caso trasformare la protagonista Pai in essere umano).

A rompere completamente gli schemi, invece, ci pensa il manga di Kentaro Miura, senza ombra di dubbio il titolo più importante di cui parleremo in questo articolo. Pubblicato a partire dal primo dicembre 1990 e tutt’ora in corso, Berserk è un’opera che poteva dirsi rivoluzionaria per i tempi dell’esordio e che ad oggi risulta fondamentale nel panorama dei manga.

Berserk
Berserk

Sporco, violento, crudele, Miura interpreta il fantasy in maniera sorprendentemente diversa rispetto ai suoi predecessori e contemporanei e lo cala in una ambientazione molto simile al basso medioevo europeo (e di questo l’autore ha sempre reso grazie alla Kurimoto, annoverando la Saga di Guin come la sua principale ispirazione). Uno sfondo che noi conosciamo piuttosto bene, ma che per il mercato giapponese è, in quel momento, una novità assoluta. Neanche Miura riesce, almeno all’inizio, a discostarsi del tutto da certe influenze della tradizione fantasy locale, come un certo modo di interpretare le maledizioni, i mostri che assomigliano ancora tanto agli Oni e altri elementi. Si tratta, tuttavia, del passo più importante nella creazione di un fantasy “all’occidentale” del tutto convincente.

In seguito, purtroppo, proprio in concomitanza di un frangente che porta con sé un certo calo qualitativo della serie, il titolo subisce una sorta di involuzione andando ad aggiungere atri elementi del fantasy occidentale e di quello nipponico più commerciale, come un uso più disinvolto della magia, altre razze antropomorfe (come gli elfi e i nani) e un gruppo di personaggi con ruoli piuttosto definiti, nello stile di certi giochi di ruolo.

Nonostante il successo, anche internazionale, il manga di Miura rimane per lungo tempo un caso isolato, almeno a livello qualitativo. Il fantasy occidentale nei manga continua a muoversi principalmente su altri binari, che potremmo definire più convenzionali e innocui. Non che siano mancati gli emuli e le copie di “Berserk”, ma si tratta prevalentemente di fumetti che non vanno molto oltre la definizione, appunto, di copia.

Berserk
Berserk

Si segnala Claymore di Norihiro Yagi del 2002, che si avvicina molto all’opera di Miura per quanto riguarda l’ambientazione (un medioevo simil-europeo, oscuro e violento) e i personaggi, ad eccezione della protagonista femminile. Dopo un inizio molto promettente, però, purtroppo il titolo si è allineato agli stilemi di certi shonen basati principalmente su combattimenti sempre più spettacolari (e inutilmente lunghi) e successive e progressive evoluzioni delle tecniche di combattimento e/o dei personaggi stessi.