Il richiamo delle spade, primo capitolo della trilogia The First Law, si arresta alla vigilia di tre spedizioni da affrontare: è ovvio quindi che in Non prima che siano impiccati (Before They Are Hanged), secondo romanzo della saga, Joe Abercrombie avanzi nella narrazione per mezzo di altrettante sottotrame, muovendo le pedine sulla scacchiera del Mondo Circolare in attesa di sferrare il colpo finale.

Jezal dan Luthar è stato sbarcato a forza dalla nave in partenza per la guerra in Angland e inviato in missione segreta, con il Mago Bayaz, il guerriero del Nord Logen "Novedita il Sanguinario", la letale donna del Sud Ferro Maljinn, l’apprendista  Malacus Quai e il Navigatore Piedelungo. 

Mai compagnia di eroi fu così male assortita, in apparenza. 

Collem West è invece arrivato in Angland per combattere le armate di Bethod, che si appresta  a invadere le terre dell’Unione. Responsabile di un esercito equipaggiato male, addestrato peggio e comandato dall’inetto Principe Ladisla, il colonnello accetta l’alleanza con gli ex-compagni  di Logen: un gruppetto di feroci uomini del nord - combattenti sanguinari e senza legge - può essere l'arma vincente per battere il loro ex-signore altrettanto pericoloso. 

Sand dan Glotka ha raggiunto l’ultima roccaforte dell’Unione nel Continente del Sud - la città di Dagoska, minacciata dagli eserciti Gurkish - con il compito di organizzare una difesa a oltranza. Il neo Superiore dell’Inquisizione ha già sperimentato la prigionia di quel particolare avversario e non desidera certo ripetere l’esperienza, ma la sua posizione è quanto mai precaria perché oltre al nemico visibile fuori dalle mura deve guardarsi anche da pericoli e intrighi nascosti al loro interno.

In Non prima che siano impiccati, quindi, lo scenario si allarga: dalla città di Adua, sede della maggior parte degli avvenimenti precedenti, l’autore porta i protagonisti in luoghi fin’ora solo menzionati, terre lontane e antiche città decadute, mari e isole sperdute ai confini del mondo.

Sebbene la componente sovrannaturale aumenti sensibilmente rispetto a Il richiamo delle spade, il fantasy di Abercrombie continua a essere tutto tranne che fiabesco: spietato e realistico, non si fa mancare combattimenti sanguinosi e spettacolari, intrighi politici e un duro quanto credibile scavo psicologico dei personaggi.

Tuttavia, lo stile narrativo e il suo impatto caratteristico con il lettore forse perdono un po’ del loro effetto- sorpresa, anche perché, a questo punto, l’autore deve unire alla componente “action” della storia qualche spiegazione in più per dare corposità all’ambientazione. 

Nel secondo volume diventano più chiare la mitologia e la cosmogonia che – sebbene vicine ai modelli classici di genere - sono basate su un’idea non priva di originalità: abbiamo il patriarca Euz, e i suoi figli in conflitto fra loro. Ma non si tratta di divinità. Il potente creatore del mondo e i detentori delle varie branche magiche sono creature di natura prevalentemente demoniaca. 

L’elemento magico presente è abbastanza singolare, quasi una tecno-magia per certi aspetti: Il leggendario Seme, cioè l’arma decisiva contro il Profeta Khalul che Bayaz vuole recuperare durante la “cerca”, è un artefatto capace di attingere direttamente dall’Aldilà un’energia catastrofica (bomba atomica?). Non a caso, il contenitore per trasportarlo è di metallo spesso e pesantissimo (piombo?) e solo Ferro, per la sua particolare natura, può toccarlo senza rischi: chiunque altro morirebbe con un’agonia che ricorda molto la sindrome da radiazioni.

Anche i bestiali Shanka fanno pensare più a una manipolazione genetica sfuggita di mano che a un vero e proprio incantesimo. Più sovrannaturale – gothic è la figura dei Mangiatori: uomini e donne asserviti al nemico di Bayaz, hanno infranto la seconda legge, divorano la carne dei propri simili e sembrano dotati di caratteristiche allo stesso tempo molto più e molto meno che umane. 

Tutti questi elementi confluiscono in una storia che non è mai come ci si aspetta, ma dove forse prevedere il peggio è la cosa migliore da fare.  

In conclusione, qual è il senso del titolo, che si riferisce alla frase del poeta tedesco Heinrich Heine “Noi dovremmo perdonare i nostri nemici, ma non prima che siano impiccati”

Almeno un episodio in cui il nemico viene perdonato è presente nel romanzo, e proprio da chi meno lo farebbe supporre: si tratta di un’eccezione che conferma la regola o c’è da aspettarsi qualche sorpresa a riguardo nel terzo volume? In ogni caso, l’obiettivo di Abercrombie è chiaro: niente buonismi o eroismi, soluzioni facili o finali da cliché. 

I personaggi, assieme alle loro vicende, anche in questo libro sono visti con disillusione e cinismo: nel profondo dell'animo forse vorrebbero concedere perdono e pietà, ma le azioni “giuste” richiedono un prezzo troppo alto da pagare.