Tutti conoscono, almeno a grandi linee, il libro L’Isola del Tesoro di Robert Louis Stevenson. Non potrebbe essere altrimenti, visto che si tratta di una delle storie d’avventura più famose di tutti i tempi, capace di dare forma e definire l’immaginario collettivo sui pirati ancora oggi.

Ma cosa successe prima che Billy Bones arrivasse alla locanda Ammiraglio Benbow con la sua mappa del tesoro?

A rispondere a questa domanda ci ha pensato il canale americano a pagamento Starz (già conosciuto per Spartacus, I Pilastri della Terra, Torchwood – Miracle Day, DaVinci’s Demons e altri) con la nuova serie Black Sails. Creata da Robert Levine (Jericho, Human Target, Touch) e Jonathan E. Steinberg (Jericho, Human Target), due autori già piuttosto noti nel mondo delle serie tv, anche se più legati a vicende contemporanee che a storie in costume, è fin’ora composta da una prima stagione di 8 episodi ed è già stata confermata per una seconda di 10.

Siamo nel 1715, nelle Indie Occidentali.

L’inizio è in medias res: ci troviamo a bordo di una nave che sta per essere attaccata dai pirati. L’azione è concitata e facciamo subito la conoscenza di un giovane John Silver, ancora ben lungi dal diventare quel capitano Long John Silver descritto da Stevenson. Il cuoco della nave ha strappato una pagina dal diario di bordo, una pagina che, si scoprirà, dovrebbe contenere importanti indicazioni su come mettere le mani su un tesoro quale mai si è visto prima. Una pagina che, ben presto, finisce proprio nella mani di John Silver e che darà origine a una serie di vicende e intrighi.

È facile immaginare e dedurre che sarà proprio questo tesoro (o almeno una parte), a lungo cercato, inseguito e infine sepolto, a essere poi ritrovato in L’Isola del Tesoro. Come ci si arriverà, però, è il tema centrale di questa serie tv e lo scopriremo puntata dopo puntata.

Come per tutte le serie Starz, inoltre, è lecito aspettarsi una buona dose di violenza, sangue e sesso, sia etero che omosessuale. Tutte attese che, già dal primo episodio, vengono ampiamente ripagate grazie a scontri a fuoco, duelli con le sciabole, combattimenti a mani nude, nonché visite nei bordelli e rapporti saffici.

Il primo capitolo di Black Sails mostra subito luci e ombre, lati positivi e altri, se non negativi, quantomeno migliorabili.

Cominciamo elencando le cose buone.

Ormai la televisione ha raggiunto un livello molto vicino (se non uguale) al cinema. Black Sails può vantare dei costumi molto belli, così come ambienti e ricostruzioni che non hanno nulla, o quasi, da invidiare a film come Pirati dei Caraibi. Anche la computer grafica è buona, seppur non perfetta, usata soprattutto nella rappresentazione dei galeoni in mare aperto e nelle vedute in campo lungo (il più delle volte per aggiungere una maggiore profondità al panorama). Spesso gli episodi pilota godono di un trattamento privilegiato rispetto al resto della serie, per cui sarà necessario visionare anche le puntate successive per verificare eventuali cali di qualità, l’inizio, però, sembrerebbe promettente.

Buone le prove della maggior parte degli attori. Toby Stephens è un capitano Flint carismatico, merito anche del trucco e della barba, che risulta subito simpatico agli spettatori, anche in virtù del suo mal tollerare la violenza gratuita, ma estremamente determinato nel perseguire i suoi obiettivi. Nonostante in passato abbia spesso sfoderato prove piuttosto monodimensionali e un po’ statiche, in Black Sails sembrerebbe essersi calato bene nella parte ed è certamente uno dei punti più positivi di questa prima puntata. La serie guadagna soprattutto dai caratteristi che, se non proprio protagonisti, aiutano a riempire lo schermo in maniera convincente, per esempio Mark Ryan, il solido e fedele nostromo Gates che funge un po’ anche da coscienza del capitano, oppure Anthony Bishop (splendide le cicatrici) che interpreta il violento e ambizioso Singleton, fino a Tom Hopper nella parte di un giovane Billy Bones (giusto per non perdere di vista i rimandi all’opera di Stevenson).

Black Sails denota una certa cura nei particolari. Fatti generalmente passati sotto silenzio nei romanzi e nei film sui pirati, ma che, in realtà, erano la normalità. Per esempio le urla belluine e le canzoni fortemente ritmate, intonate prima di dare l’arrembaggio per terrorizzare gli assaliti. Il fatto che ogni capitano pirata avesse una sua bandiera, con un suo simbolo ben riconoscibile e non, solamente, il classico e inflazionato teschio con le tibie incrociate. I rimborsi per coloro che rimanevano feriti, mutilati o uccisi durante le razzie, a cui spettava una fetta più grossa del bottino rispetto a chi non aveva neanche un graffio. La pratica per cui un capitano pirata poteva essere destituito, e un altro eletto al suo posto, con una semplice votazione democratica, se si rivelava troppo crudele o incapace di portare a lauti profitti per la ciurma (un fatto di per sé assurdo, invece, sui vascelli cosiddetti civilizzati, dove il capitano aveva diritto di vita e morte su ogni membro dell’equipaggio).

Sotto il profilo della sceneggiatura, fin dalle prime immagini vengono mostrati i presupposti per il filo conduttore di tutta la serie: il tesoro. Niente misteri, dunque, su dove voglia andare a parare la storia, ma chiarezza da subito. A contorno, nel proseguo, si aggiungono trame, sottotrame e intrighi che dovrebbero poter garantire un buon intrattenimento e sufficienti problemi ai protagonisti da tenere ben desta l’attenzione degli spettatori.

Accanto ai lati positivi, però, come dicevamo, vi sono anche quelli negativi.

Il principale, capace, al contempo, di risultare invece un pregio per alcuni, è l’essere una serie apparentemente fin troppo patinata. Patinata negli attori: Luke Arnold è un John Silver fin troppo belloccio, tirato a lucido e palestrato, in altre parole troppo finto. Patinata negli ambienti: spesso troppo puliti per risultare credibili; idem per gli vestiti, di cui si dovrebbe, invece, poter percepire la puzza perfino attraverso lo schermo. Patinata nella fotografia: la quale rende meravigliosamente il sole dei caraibi, il verde lussureggiante delle isole tropicali e l’azzurro dell’oceano, ma è fin troppo chiara e luminosa, col risultato di appiattire i volti e non mettere sufficientemente in risalto lo sporco, il sudore e le ombre, anche interiori, dei personaggi.

Tra lati positivi e negativi, alti e bassi, luci e ombre, Black Sails è una serie che sembrerebbe avere diverse frecce al proprio arco. Merita dunque una possibilità, se gli autori riusciranno a mantenere alto il ritmo, senza cadute di tono. Pur non spiccando nel panorama televisivo attuale per originalità o indiscusse qualità, dunque, potrebbe rivelarsi un titolo su cui puntare se si è alla ricerca di un po’ di puro intrattenimento.