In un paese lontano, lontano, vivevano il mugnaio con sua moglie, un ragazzo la cui unica amica era una mucca, una giovane sguattera e una bambina con un bizzarro cappuccio rosso. Tutti loro desideravano ardentemente qualcosa: il mugnaio di avere un figlio, la giovane di andare al gran ballo del castello, il ragazzo di tenere con sé una mucca che oramai da molto non dava più latte, e la bambina di arrivare tranquilla a casa della nonna che viveva nel bosco. Le loro storie s’intrecciarono in modo bizzarro quando la strega che vive accanto al mugnaio gli rivela che, tempo addietro, aveva fatto una terribile maledizione alla famiglia del vicino, a causa di un paio di fagioli magici rubati: non solo si era presa una dei figli del ladro ma aveva maledetto quello rimasto, condannandolo a non avere eredi. La strega adesso è disposta a spezzare l’incantesimo a patto che il mugnaio e la moglie riescano a procurarsi un cappuccio rosso, una mucca del colore del latte, dei capelli biondi come una pannocchia e una scarpetta d’oro. Tutti questi ingredienti devono essere recuperati nel cuore della foresta entro tre giorni.

Prima ancora di diventare un film, Into the Woods è stato un musical di enorme successo, opzionato già negli anni ’90 dalla Columbia che però abbandonò l’idea nel ‘97. È stata la Disney nel 2012, assoldando niente meno che Rob Marshall, premio oscar 2003 con Chicago, a rimettere in piedi il progetto. L’idea alla base del film è quella di riprendere alcune fiabe dei fratelli Grimm, Cenerentola, Cappuccetto Rosso, Jack e il fagiolo magico, Raperonzolo e Cenerentola, intrecciarle tra di loro e ottenere una storia completamente nuova. Tuttavia Into the Woods non si limita a fare, come per esempio Shrek, una parodia, ridicolizzando la componente romantica e irreale delle vecchie storie Disney. Certo si ride molto, come nella sequenza in cui i due principi azzurri fanno a gara per chi si strugge di più d’amore per la propria bella, ma l’epilogo è davvero lontano dal classico happy end, se pure il tono del racconto rimane sempre leggero. 

Se nella prima parte assistiamo alla consueta destrutturazione della favola classica, nella seconda osserviamo la sua ricostruzione, che conduce persino alla ricomposizione di una possibile morale dove l’ammonizione non può più essere quella di stare attenti agli sconosciuti nel bosco, o di aspettare con fede l’arrivo del principe azzurro. Tra una canzone e l’altra, tutte sostenute magistralmente da un cast perfetto, non c’è però nemmeno il farsi beffa dello scopo per cui le fiabe sono nate, ovvero la loro funzione pedagogica, persa, probabilmente, il giorno in cui il cinema è nato. Into the Woods riesce a insegnare senza facili moralismi quanto può essere pericoloso desiderare qualcosa e di quale responsabilità ci si fa carico quando si raggiunge finalmente l’obiettivo anelato. Un film davvero per tutta la famiglia anche se nella versione italiana, a causa dei frequenti sottotitoli inseriti per seguire le parti cantate, forse i bambini avranno qualche difficoltà.