Problema

Hanno tradito lo spirito del personaggio di Thor. Dovrebbe essere un guerriero, non cercare l’amore o preparare pancake. Esco dal cinema, e rifletto. Thor è un personaggio che conosciamo da così tante tradizioni diverse che chissà a dove risale l’immagine che abbiamo di lui. Quel vecchio libro di miti nordici per bambini che abbiamo in soffitta? I fumetti Marvel? I libri su Magnus Chase di Rick Riordan? Siamo circondati, come spesso accade per personaggi che vengono dal mondo del mito, di rappresentazioni diverse, ognuna declinata in modo da rispondere, di fondo, alle esigenze della sua audience.

Magnus Chase e gli dèi di Asgard - La spada del guerriero
Magnus Chase e gli dèi di Asgard - La spada del guerriero

E d’altra parte, mi chiedo, chissà cosa si diceva, d’altra parte, del personaggio di Roland, o Orlando, che era noto al pubblico del Quattrocento attraverso infiniti racconti di infiniti cantori di strada, derivati, o paralleli, alla famosa Chanson de Roland, quando Boiardo lo fa innamorare o Ariosto lo fa impazzire. Perché quando un personaggio, conosciuto con un determinato schema, cambia, questo cambiamento porta in sé qualcosa di interessante, da capire e da esplorare.

I dati (parte prima): il mito

Ma procediamo con ordine. E se vogliamo cominciare a parlare di personaggi del mito, è proprio da lì, dal mito, che dobbiamo cominciare. Non è un inizio facile. I Greci non avevano un nome specifico per quello che noi moderni chiamiamo mito. Mito era, semplicemente, qualcosa che veniva raccontato, che veniva detto. 

Uno dei più importanti studiosi di mito, religione e magia nel mondo classico, Fritz Graf, fa notare come la definizione di mito sia un argomento molto caldo, discusso in continuazione almeno negli ultimi tre secoli, e quindi propone di definirlo, semplicemente, come un racconto tradizionale. 

 Myths of the Underworld Journey
 Myths of the Underworld Journey

O meglio, è la narrazione di un racconto tradizionale, che esprime la prospettiva del narratore, la sua visione del mondo, nell’ambito specifico su cui si incentra il mito che ci racconta, dove con racconto tradizionale intendiamo il set completo di storie incentrate su un determinato elemento tradizionale (per esempio, un personaggio). Questa è la definizione che ne dà Radcliffe Edmonds, autore del volume Myths of the Underworld Journey, che in questo articolo chiameremo in causa in più di un’occasione.

All’interno della narrazione dei miti, troveremo, sempre, degli elementi tradizionali, che sono familiari al pubblico per cui il mito è stato composto, in particolare motivi o schemi di azione. Motivi sono, per esempio, nomi di personaggi, o di luohi. Thor, figlio di Odino, è un motivo tradizionale, per dire. Schemi di azione possono essere il combattere i cattivi, uccidere i mostri, che si trovino a Jotunheim o a New York, o scendere nell’Oltretomba, per riprendere il titolo del libro che ci farà da guida in questo viaggio. 

Questi motivi e questi schemi di azione ci risuonano di più, in base a quanto sono più familiari nell’ambiente culturale in cui ci troviamo, e quindi in base a quali sono le storie con cui siamo più in contatto. 

Quindi, un mito è l’espressione particolare (cioè specifica di un determinato autore, a noi più o meno conosciuto, in un determinato tempo, con un determinato scopo) di un racconto tradizionale: detta in altri termini, il mito è, in qualche modo, intagliato, o cesellato, dal suo narratore, mentre il racconto tradizionale è l’insieme di miti in cui il pubblico riconosce qualcosa di simile.

Quando il narratore racconta un mito, fonde insieme diversi elementi tradizionali, per creare una narrazione che abbia un significato particolare per il suo pubblico: se il suo pubblico ritiene quella narrazione significativa, la aggiungerà all’insieme dei racconti tradizionali. E, se la narrazione sarà ritenuta significativa, la visione del mondo prodotta da quel narratore influenzerà quel pubblico. Insomma, il narratore di un mito cesella la narrazione per renderla memorabile e accettabile, anche, e soprattutto, confrontandola con le altre narrazioni simili.

I dati (parte seconda): la commedia

Ma cosa c’entrano, con tutto questo, le rane?

In realtà, avremmo dovuto usare la lettera maiuscola, nel titolo. 

Siamo ad Atene, nel 405 a.C., è primavera. Non è un buon anno per Atene. Siamo alla fine della guerra del Peloponneso, che Atene perderà l’anno successivo. In scena, a teatro, durante le feste Lenee, c’è una commedia di Aristofane, Le Rane, appunto. È una commedia, ma è un po’ diversa dalle altre commedie, perché parla di dèi. In particolare, parla di Dioniso, che del teatro dovrebbe essere il mitico inventore, nonché il dio cui le Lenee sono dedicate. 

Dioniso compare in scena proprio per il suo straordinario interesse per il teatro. Euripide, il grande tragediografo, è morto, e ora Dioniso si annoia, perché nessuno è più capace di creare storie come si deve. La sua proposta quindi è semplice: scendere negli Inferi, recuperare Euripide, e tornare a gustarsi le sue tragedie. Ci vuole un piano, però, per scendere negli Inferi: anche gli dèi non lo fanno abitualmente. Dioniso quindi consulta uno specialista, Eracle, che gli propone una soluzione semplice ed efficace: il suicidio, in varie modalità creative. Non sarà questa la scelta di Dioniso, che però, vestito in parte con una veste di taglio femminile, in parte con un costume da Eracle, parte per gli Inferi e si ritrova sul lago dell’Acheronte.

Ficarra e Picone in una recente rappresentazione de "Le Rane" di Aristofane
Ficarra e Picone in una recente rappresentazione de "Le Rane" di Aristofane

Di fatto, Le Rane sono una catabasi, una narrazione mitica che racconta una discesa agli Inferi, come quella di Enea nell’Eneide, per intenderci. Solo che questa è più lunga e, in effetti, la catabasi è il cuore della narrazione, non solo una parte.

In questa catabasi, ci sono tutti gli elementi del caso: una barriera d’acqua (come in Dante), la difficoltà di trovare la giusta strada negli Inferi, il guardiano dell’Oltretomba (Fufi, il cane a tre teste di Harry Potter e la Pietra Filosofale, viene direttamente da lì: un altro motivo mitico, applicato a fare da guardiano a qualcosa, e riconosciamo che è giusto che a fare la guardia sia proprio un cane a tre teste, perché questa narrazione ci scorre nel sangue). 

Le Rane fanno ridere il pubblico perché gli elementi della tradizione sono usati, risuonano nell’audience, ma sono manipolati per creare un effetto comico, che può andare dal riferimento sessuale alla comicità più raffinata. Insomma, Le Rane sono uno straordinario successo di pubblico. Ma Dioniso non fa, come dire, una grande figura: viene preso in giro e ridicolizzato in tutti i modi in cui un dio può essere ridicolizzato.

Le Rane in edizione BUR
Le Rane in edizione BUR

Eppure, non è solo commedia. Lo studio di Radcliffe Edmonds sul testo di Aristofane dimostra, con abbondanza di particolari, che la commedia non è fine a se stessa. Oltre ad essere un racconto iniziatico (tradizionale lettura delle Rane), c’è un’altra lettura possibile di questa commedia, una lettura politica. Dioniso non viene ridicolizzato invano: perché, quando l’immagine tradizionale di Dioniso viene stravolta, quando il racconto tradizionale viene reinterpretato e lo spettatore avverte la differenza tra la vecchia versione del mito e quella nuova, ecco quello è il punto in cui il narratore della storia inserisce il suo punto di vista sul mondo.

Dioniso non è un dio che si può prendere in giro alla leggera. Noi forse lo conosciamo nella versione del dio del vino, ubriacone e inaffidabile, da Fantasia di Disney, a Pollon, al Signor D di Percy Jackson. Il pubblico di Aristofane, però, lo conosce per Le Baccanti di Euripide, portata in scena un paio di anni prima, in cui il dio compie un’atroce vendetta su alcuni umani. Le sue seguaci divorano vive mandrie di bovini e fanno a pezzi il re Penteo per dimostrare quale sia la potenza di questo dio, che non è, quindi, da sottovalutare. D’altra parte non lo aveva notato Nietzsche, che Dioniso compete con Apollo (anche qui, non l’Apollo di Pollon) nel determinare l’equilibrio del mondo classico.

Eppure, Aristofane lo prende in giro. E, nel farlo, nel ridicolizzare di fatto questo dio tremendo e fondamentale per la cultura greca, trasmette ai suoi contemporanei dei contenuti politici importanti: la necessità di armonia tra le parti della città minacciate dalla guerra con Sparta, la definizione di una nuova società da cui devono essere escluse le categorie che la danneggiano, il ruolo degli schiavi che hanno contribuito a proteggere la città agendo come rematori sulle triremi. 

Svolgimento

E quindi, cosa ha a che fare tutto questo con Thor?

Journey Into Mistery #83 - Copertina di Jack Kirby
Journey Into Mistery #83 - Copertina di Jack Kirby

Ora, il Thor di cui ci stiamo occupando non è, esattamente, un dio come Dioniso, nel Marvel Cinematic Universe. Il Thor ideato da Stan Lee, Larry Lieber e Jack Kirby per la Marvel nel 1962 è a tutti gli effetti un alieno umanoide al quale gli umani, non riuscendo a distinguere l’avanzata tecnologia asgardiana dalla magia, hanno dato parvenza divina. Gli asgardiani sono resistenti e longevi, ma sono immortali solo in relazione alla lunghezza della vita dei terrestri.

D’altra parte, Thor è un personaggio ben noto del mito. È un dio, un dio guerriero, forte, affascinante, alto, biondo, con gli occhi azzurri. Korg, all’inizio di Love and Thunder, ci presenta perfettamente la sua vita, di piccolo dio prodigio in erba, efficace con la spada quanto amato dalle donne. Nel primo Thor, il dio è oggetto di ironia nel limite in cui si trova, secondo la classica teoria del pesce fuor d’acqua, in un mondo che non è il suo e ci si deve adattare. Solo che il suo mondo straordinario è il nostro mondo ordinario, e questa dissonanza crea momenti comici. 

Anche nel primo The Avengers, in Avengers: Age of Ultron e in Thor: The Dark World, il dio del tuono è caratterizzato in modo piuttosto tradizionale. Combatte, si innamora, salva la donna che ama, è disposto a sacrificare il suo amore per il bene dell’universo: insomma, si comporta come ci aspettiamo da un dio e da un eroe.

Già con Thor: Ragnarok il cambio di tono dei film Marvel su questo personaggio hanno mostrato un cambio di tono. Siamo piuttosto abituati alla presenza di linee comiche, all’interno del MCU, che di solito sono portate avanti da alcuni personaggi. Loki e Hulk sono protagonisti di un simpatico siparietto, nel primo Avengers, all’interno della Stark Tower. Sia Loki sia Hulk, in effetti, sono piuttosto rappresentativi della linea comica. Tony Stark comunica mixando ironia e sarcasmo (pur riuscendo talvolta a essere serio).

Eppure, Ragnarok infastidisce una parte del pubblico: Thor non si prende sul serio fin dall’inizio, pur dichiarando esplicitamente che si sta comportando come un eroe, la sua discussione con Surt ci suscita più il riso che l’eccitazione del rischio. In Ragnarok, Thor viene preso in giro come eroe: quando cerca di convincere Valchiria a tornare ad Asgard, per salvarla, nonostante Hela sia invicibile, Thor sta per pronunciare la frase, che ci aspettiamo, e che è giusta in questo contesto: “è questo che fanno gli eroi”. Ed è quello il momento in cui prende una pallonata in faccia. 

Cate Blanchett è Hela in Thor: Ragnarok
Cate Blanchett è Hela in Thor: Ragnarok

L’episodio sul pianeta Sakaar, in cui incontra appunto Valchiria e Hulk, è una serie di gag che aggiungono molto alla linea comica e forse poco alla trama (senza contare l’aggiunta, tutta italiana, del non necessario zio del Tuono). Ma la trama di Ragnarok, di fatto, è un’apocalissi. Perché questo è il Ragnarok, la distruzione completa di Asgard. È la storia di una popolazione annientata, fisicamente e moralmente. E li vediamo, i pochi superstiti, finire tra le mani di Thanos: Asgard può essere un’idea e non un luogo, ma la vediamo davvero in difficoltà, quell’idea, e Thor rimarrà per diverso tempo in preda ai sensi di colpa, perché dopo tutto è stato lui a dire a Loki di far comparire Surt, in modo che sia lui a prendersela con Hela.

Thor affronta Thanos in Avengers: Infinity War
Thor affronta Thanos in Avengers: Infinity War

Anche in Avengers: Infinity War, Thor alterna momenti di grande eroismo (la morte di Loki, la creazione di Stormbreaker e la lotta contro Thanos) ad altri, come l’incontro con i Guardiani della Galassia, in cui è messo palesemente in ridicolo, in un’alternanza di toni a cui, tutto sommato, il MCU ci ha abituato. Ma, come dice Thor stesso a Rocket, è messo dalla sua rabbia, dalla sua furia: cosa di meglio per combattere contro Thanos? Cosa di meglio per entrare nel ruolo dell’eroe vendicatore?

E, in questo stato d’animo, Thor riesce anche ad essere un buon motivatore: così induce Eitri a rialzarsi e a forgiare per lui Stormbreaker. Avengers: Endgame ce lo presenta in forma fisica non perfetta, dedito all’alcolismo, come reazione alla sua sconfitta, di fatto, da parte di Thanos.

E poi arriva Thor: Love and Thunder. Che, di nuovo, si pone sulla stessa linea di Ragnarok, inserendosi in una linea comica che segue gran parte della vicenda. Certo, non tutta. Il film ha dei momenti altamente drammatici. A rischio, nella storia, sono le vite dei bambini asgardiani, ed è un tema molto serio. Come lo è il cancro della dottoressa Jane Foster, e la sua morte.

Christian Bale è Gorr in Thor: Love and Thunder
Christian Bale è Gorr in Thor: Love and Thunder

La storia di Gorr, la scena iniziale della morte di sua figlia, il tradimento da parte del dio in cui ha riposto ogni sua speranza di vita, e di vita ultraterrena, non solo per sé ma anche per la sua gente, non hanno nulla di comico. Gorr svela la verità che si nasconde dietro alla falsa etichetta degli dèi: sono gli abitanti dei vari pianeti a dare il ruolo di divinità a personaggi che sono “solo” molto più più potenti e longevi di loro. Quando Gorr li vede per quello che sono, e viene in possesso di un’arma in grado di ucciderli, inizia infatti la sua vendetta, anche per punire se stesso per aver creduto in un falso mito.Questo tema è di una serietà totale e assoluta e non viene mai dissacrato. Gorr rimane un cattivo perfetto, dall’inizio alla fine, e si distingue facilmente che i momenti comici che prova a instaurare sono solo elementi che dimostrano la sua follia, una follia annegata dal dolore. 

Thor: Love and Thunder
Thor: Love and Thunder

La linea comica prende il sopravvento, però, non appena l’attenzione si sposta su Thor. La sua storia, raccontata come in altre occasioni da Korg, viene presentata in chiave ironica, sminuendo la figura del dio fin dal primo momento in cui viene messo in scena (nei panni di un neonato che, con martello in mano, affronta, in un marsupio appeso a Frigga, la sua prima battaglia). 

Il Thor sovrappeso di Endgame si rimette in forma, ma la sua prima azione di battaglia prevede la distruzione di ciò che avrebbe dovuto salvare e l’incapacità del dio di gestire le conseguenze delle sue azioni viene messa in primo piano. Ma, sempre in chiave comica, viene anche presentata l’entità dei lutti che Thor ha subito negli ultimi anni: qualcosa da cui è veramente difficile riprendersi. Della sua famiglia, e della sua cerchia di amici, sono morti tutti. 

Thor: Love and Thunder
Thor: Love and Thunder

Ora, anche in Ragnarok Thor era messo in ridicolo, alla fine della sua battaglia con Hulk, ma la capacità militare di Thor non era messa in dubbio (Hulk vince solo per intervento del Grande Maestro). Anche nel primo combattimento di Love and Thunder, Thor dimostra eccezionali capacità guerriere (evidentemente ridicolizzate): quello che è messo in dubbio sono le sue competenze sociali. Thor vince, Thor distrugge, ma Thor è infelice, e le sue interazioni, perfino con Star Lord, che non è esattamente un campione di capacità sociali, sono disastrose. È proprio Peter Quill, in uno dei numerosi siparietti comici della prima parte del film, a rendersi conto che Thor manca, pur con tutto quello che ha, di uno scopo nella sua vita: è l’eroe che tutti vorrebbero essere, forte, imbattibile, bello, un dio biondo con gli occhi azzurri. Ma non basta, per avere uno scopo nella vita. Serve anche qualcos’altro.

Thor: Love and Thunder
Thor: Love and Thunder

Ma Thor deve andare avanti per la sua strada, l’unica che conosce, quella dell’eroe. Risponde a una chiamata d’aiuto, assieme alle due capre che la tradizione mitica comunque richiedeva, e a Korg, perché in ogni narrazione epica che si rispetti serve la presenza dell’aedo che canti le gesta dell’eroe. Ed è così che Thor torna ad Asgard, per scoprire che il suo amato martello, compagno di una vita, Mjolnir, è tornato a nuova vita, nelle mani della sua ex fidanzata Jane Foster. Thor è così costretto ad affrontare il suo passato (non abbiamo mai saputo cosa fosse successo tra lui e Jane, se non che il loro idillio non aveva funzionato): capiamo che la relazione non ha funzionato per la paura, di lui e di lei, che il tanto desiderato futuro insieme si realizzasse davvero, un’osservazione non banale, che però viene abbattuta, nella sua serietà, dalla gelosia del nuovo verso il vecchio. I siparietti comici in cui Stormbreaker non nasconde la sua gelosia per Mjolnir non si risparmiano (e come dimenticare il momento culminante dell’epica cavalleresca, in cui Rolando, morendo, dedica le sue ultime parole alla sua spada Durindana, rimarcando il così stretto legame, affettivo, quasi d’amore, che lega il guerriero alla sua arma).

Ma non è comica, la situazione, qui, perché noi sappiamo, anche quando Thor ancora lo ignora, che Jane ha un cancro terminale. Si sono riavvicinati, finalmente, ma solo quando è ormai troppo tardi.

Thor: Love and Thunder
Thor: Love and Thunder

Anche a New Asgard, nella prima lotta contro Gorr, non viene messa in discussione la forza di Thor, il suo essere un dio o il suo essere un eroe. Può essere ridicolizzato nel suo agire, ma di fatto vince, contro Gorr, laddove molti dèi prima di lui sono stati sconfitti. Gorr prepara la sua trappola, recupera i bambini, e se ne va. È nella sua incapacità sociale che Thor viene messo in ridicolo, prevalentemente: nelle sue interazioni con Jane, e anche con Stormbreaker, nei suoi goffi tentativi di discorsi pubblici: Thor non è di fatto in grado di gestire alcun tipo di relazione, a meno che non siano gli altri a gestirla per lui. Con Valchiria è facile: appartiene al suo mondo, è un re, è una guerriera, e quindi rientra nel mondo di ciò che Thor conosce e con cui si sa relazionare. Il resto è un disastro. Quando si trova a dover consolare dei ragazzini spaventati, agisce ancora come se dovesse parlare a un gruppo di soldati addestrati, e si rende conto della sua incapacità sociale.

Thor al cospetto di Zeus in Thor: Love and Thunder
Thor al cospetto di Zeus in Thor: Love and Thunder

Non è la prima volta che Thor deve affrontare se stesso: lo abbiamo conosciuto, tronfio, nel primo film omonimo, a confrontarsi con l’indegnità che gli impedisce di brandire Mjolnir, ma di fondo non l’ha mai risolta, questa sensazione di indegnità, anche quando Mjolnir gli dice il contrario. Però, non rinnega mai la sua statura eroica (in questo, diversamente dal Dioniso delle Rane, che volentieri farebbe patire gli altri al posto suo): al cospetto di Zeus, in Onnipotent City, Thor passa da fan boy a furia in poche battute, davanti all’indifferenza divina che già ha portato Gorr al lato oscuro. Certo, Zeus fa male al cuore: lo vediamo, con l’armatura, come un Massimo Decimo Meridio, per trovarci, consapevolmente o meno, il nonno di Pollon. Ma Thor è fedele a se stesso, qui, e reagisce: è feroce nel difendere il suo popolo, perché quello è il suo ruolo, e mentre combatte non se ne distacca mai.

È con Stormbreaker gelosa, o di nuovo a New Asgard, nel confrontarsi con la malattia di Jane, che Thor scivola di nuovo nel comico, se non proprio nel ridicolo: perché anche in questo caso gli sono richieste competenze sociali, che gli mancano. E non solo gli mancano (come spesso mancano agli eroi), ma lo fanno vivere male ed è questo il problema.

Thor: Love and Thunder
Thor: Love and Thunder

Quello che Waititi sembra dirci, nel mettere a confronto il Thor della battaglia e della tradizione, forte, granitico, concentrato sul suo dovere, anche vittorioso, e il Thor sociale, è che il modello del Thor tradizionale non basta più, non per essere felici.

Quando Thor arma i bambini, perché combattano per se stessi, le parole di November Rain dei Guns n’ Roses scandiscono l’azione: non sei tu ad aver bisogno di qualcuno. Tutti hanno bisogno di qualcuno. L’eroe solitario non ha modo di vincere (non nel mondo degli Avengers, in cui è l’unione che ha portato alla sconfitta di Thanos): Thor ha bisogno del Potente Thor (possiamo chiamarla anche dottoressa Jane Foster), come ha bisogno dell’aiuto dei bambini, in una narrazione in cui scorre naturale l’idea che ognuno ha diritto a prendere parte alla battaglia, compresa Jane, che ha diritto a scegliere in che modo mettere fine alla sua vita (qualcuno, direttamente da un vecchio film anni ’80, potrebbe dire che è meglio bruciare in un lampo, che spegnersi lentamente), compresi i bambini.

Thor: Love and Thunder
Thor: Love and Thunder

Il finale non ha nulla di comico. Riposti i bambini che distruggono i mostri con peluche e vestiti da fata, arriviamo alla tragedia. Gorr, alla fine, esprime il suo desiderio, nel momento in cui Thor ha preso coscienza di cosa mancava nella sua vita, l’amore. Ed è Amore, la risposta, perché Gorr ottiene la resurrezione di sua figlia, Love: ha paura di lasciarla sola al mondo, in un mondo in cui lui non ci sarà, perché, come Jane, sta morendo. Jane indica la strada. Né Love né Thor saranno soli: ciascuno dei due avrà l’altro.

Thor trova la conclusione della sua parabola nel diventare padre adottivo. Prepara pancake, controlla che la figlia sia vestita appropriatamente, poi va a combattere, con Love, i cattivi. Non è meno Thor per il fatto di preparare pancake. Non è meno eroe perché bisticcia con la figlia sulle scarpe da indossare. Non è meno eroe nemmeno se Jane è morta andando a salvarlo. Non è indegno. Rimarrà, sempre e comunque, il terribile dio del Tuono, anche quando indossa il grembiule per cucinare.

E, allo stesso tempo, ci dice che l’amore ha molte forme: non è una donna ad aver trovato la conclusione della sua parabola nella maternità (secondo una narrazione tradizionale di cui ci siamo un po’ stancate), ma un uomo che la trova nella paternità. Ringraziamo sentitamente Eternità, e Waititi, per non aver fatto resuscitare Jane e per averle dato un biglietto di sola andata per il Valhalla.

Conclusione

Thor è un personaggio particolare: è il maschio, bianco, eterosessuale, fortissimo in battaglia, un modello sociale. Basta la sua sola comparsa a cambiare le sorti della battaglia del Wakanda, in Infinity War (certo, fino all’arrivo di Thanos). Quando si infuria, trafigge lo stesso Zeus. Eppure, questo eroe, così rappresentativo, non si prende sul serio, non in Ragnarok né tanto meno in Love and Thunder: ammette di non essere in grado di governare, ammette alla fine di non essere in grado di gestire la sua vita sentimentale, e in generale le sue emozioni, è un disastro in ogni occasione sociale. Non è lui a salvare la fanciulla in pericolo (piuttosto è la fanciulla in pericolo a salvare lui, e lui lo sa ma non si sente sminuito da questo).

Thor rimane un eroe senza avere le caratteristiche che tradizionalmente associamo all’eroe: può permettersi di soffrire, di piangere, di sbagliare.

Possiamo accettare di avere personaggi comici, o le cui linee convergono spesso sul comico: i Guardiani della Galassia, per esempio, o Hulk. Ma non siamo abituati a vedere qualcuno come Thor messo in ridicolo.

Thor: Love and Thunder
Thor: Love and Thunder

Attraverso la forma di una commedia, facendoci ridere, Waititi ci mostra come, di quell’eroe così rappresentativo di un particolare ambito sociale, sia possibile una nuova narrazione di quel tipo di personaggio: il motivo mitico “Thor”, con delle sue caratteristiche ben definite, è sovvertito, in questa narrazione. Riconosciamo che è lui, anche quando non è lui. Sappiamo che è terribile, ma sappiamo anche che lo possiamo prendere in giro, e proprio nella dissonanza tra i due personaggi, quello della tradizione e quello nuovo, riusciamo a leggere dove sta quel qualcosa che ci fa ridere, o che ci infastidisce (che è una reazione più che comune e del tutto normale). Perché è la creazione di un nuovo modello maschile, incarnato nell’eroe più eroe che possiamo immaginare. Una creazione che, in una narrazione seria, difficilmente potremmo sopportare: ma la commedia che ci spinge alla riflessione tramite la risata, ha un enorme potere.