La prima parola che mi viene in mente per questa recensione è “peccato!”. Peccato per uno scivolone nel finale che rovina un romanzo che fino all’ultimo era apparso ben congegnato, piuttosto equilibrato nell’amalgamare avventura e thriller con una buona dose di umorismo. Peccato per quella frase. Sì, una sola frase, di poche righe, e il lettore che fino a un attimo prima si stava godendo un bel libro viene preso dall’impulso irresistibile di buttarlo nelle fiamme. Come l’avreste presa voi, se Il Signore degli anelli fosse finito con Sauron che muore per un raffreddore? O se Harry Potter, in pericolo di fronte a una magia più grande di lui, si fosse svegliato e si fosse reso conto che era tutto un sogno? Probabilmente nello stesso modo in cui l’ho presa io quando mi sono accorto della fine che avrebbe fatto l’orda di demoni che dall’inferno si stava apprestando a conquistare il mondo: chiudendo il libro e maledicendo il momento in cui ho deciso di aprire il portafoglio e di tirare fuori 15 euro. Il fatto che La guerra degli elfi sia soprattutto un libro per ragazzi non concede nessuna attenuante a Herbie Brennan per il modo banale, sbrigativo e grossolano con cui decide di risolvere il grande pericolo finale. Ma tanta rabbia nasce solo perché il romanzo era stato piacevole fin dall’inizio e mi aveva trascinato per trecento pagine con la sensazione costante di leggerezza, di spasso, di relax. Basta una pagina ridicola per condannarne trecento buone? Dipende dai punti di vista, ognuno è giusto che giudichi con il suo metro. Di certo consiglio La guerra degli elfi a chi ha voglia di passare qualche serata piacevole con una buona storia fantasy; ma senza dubbio diffido dall’avvicinarvisi tutti coloro che, come me, ritengono che la letteratura di genere debba fare di un buon finale una delle armi migliori. Del resto il finale, in quanto tale, è quasi tutto quello che resta quando si chiude un libro: se quello fa storcere la bocca, tutto il resto finisce nel dimenticatoio ancor prima che il lettore abbia fatto in tempo ad andare in bagno a lavarsi i denti prima di infilarsi sotto le coperte.

Così, quasi non ricordo più la storia di Pyrgus Malvae, il principe ereditario del mondo degli elfi della Luce, e di come il suo destino si incrocia con quello di Hanry, un ragazzino del nostro mondo. Qualcuno vuole morto il principe, forse due stranissimi e disonesti venditori di colla, forse il temibile lord Rodilegno e i suoi elfi della Notte, forse i demoni guidati da Beleth, forse addirittura qualcuno infiltrato nel palazzo reale. Di certo per Pyrgus è più opportuno trasmigrare nel mondo analogo, attraverso il portale multidirezionale. Più opportuno, se non cadesse vittima di un sabotaggio che ne altera la destinazione. Così Hanry si ritrova un piccolo elfo delle dimensioni di una farfalla nel giardino di casa e la sua vita, fino ad allora dominata dall’imminente separazione dei genitori - grazie a una madre che si riscopre improvvisamente omosessuale – si trasforma in un’emozionante avventura. Ora la cosa importante non è più decidere con quale dei genitori vivere, ma riportare a casa il nuovo amico, grazie all’aiuto dell’anziano signor Fogarty, lo scienziato pazzo di turno. Una lotta contro il tempo per sventare una guerra tra le creature fatate e riportare l’armonia nel regno della Luce.

E’ un romanzo molto scorrevole; ogni pagina è corredata di simpatici e improbabili personaggi, di stranissimi incanti e illusioni, delle giuste dosi di mistero e di umorismo. Una storia che incuriosisce dall’inizio e che si dipana in modo leggero e intelligente. Ma tutto questo ci riporta inesorabilmente a quella parola che mi era venuta in mente all’inizio: peccato!