Stanco è l’eroe, senza nemmeno essere arrivato al dantesco mezzo cammin di nostra vita. Però la strada fatta finora si è rivelata piena di insidie, dolori, tradimenti, lotte, sofferenze.

Per questo, adesso, l’eroe desidera solo la quiete: vuole andare in pensione dalla professione di eroe, ambisce solo a un tranquillo incarico dietro la scrivania, come il più derelitto e sfiduciato dei reduci di ogni guerra.

L’ingresso in scena di Cazaril dà subito le pennellate del crepuscolo che impronteranno tutta la storia.

Un momento, chi è Cazaril? È l’eroe anti-eroe, il protagonista insolito di questo insolito fantasy, che porta la firma di Lois McMaster Bujold, famosa in Italia grazie al suo ciclo fantascientifico dei Vor, sempre pubblicato dall’Editrice Nord.

E infatti per chi, come il vostro amatissimo, apprezza e legge l’opus magnum della scrittrice americana, l’impronta è evidente fin da subito, anche in questo lungo e godibile romanzo, dove non ci sono pistole laser per combattere, ma... preghiere e miracoli.

Distrutto nel corpo e sfiduciato nello spirito, evaso da una lunga e durissima prigionia nelle navi galee dei corsari roknari, il valoroso comandante Lupe dy Cazaril, riesce a raggiungere il castello della Provincara di Valenda, dove ha servito anni addietro come paggio; qui giunto, chiede alla nobile dama un impiego che lo salvi dall’angoscia che lo sta sommergendo. Mossa a compassione, ma convinta anche delle sue doti, la Provincara nomina Cazaril tutore della nipote, la Royesse Iselle, affascinante e intelligente sorella dell’inquieto erede al trono, il Royse Teidez.

Ben presto, però, questa occasione diventa per Cazaril un incubo.

Intrigante l’ambientazione della storia, tratteggiata con leggerezza dalla Bujold, sempre inserendone dettagli all’interno del tessuto narrativo, che così non si interrompe, ma si approfondisce. Curiosi e intriganti i nomi di sapore per così dire spagnoleggiante-francesizzante, con tutti i nobili e nobiletti e nobilastri presenti nella corte di un sovrano maledetto, debole e fastoso come il Roya Orico.

L’ombra della maledizione testimonia che di acqua sotto i ponti dalle gesta di Conan e di Kull ne è passata, e si vede. L’eroe non è più muscoloso, né aitante, né tanto meno superpotente e sicuro di sé. Cazaril è e si sente vecchio (pur avendo solo 34 anni!), non è avvenente, perché le torture e le frustate prima, la povertà e la fame poi e adesso gli orrori incarnati nel suo corpo come degli ‘alien’ evocati dalla negromanzia, ne hanno deformato e indebolito il fisico. Non debole però è la sua tempra, la sua lealtà e i suoi sentimenti, che sorreggono il suo coraggio e la sua determinazione. E che lo porteranno allo scioglimento finale della fosca vicenda.

Il tocco ‘bujoldiano’ si sente come non mai, quindi, nel tratteggiar di questo eroe per caso e per sbaglio: come il deforme Miles Vorkosigan, è fedele al proprio senso di responsabilità. E anche stavolta, se pure ci sono le ragioni di Stato e la diplomazia, gli intrighi di corte e i gesti d’onore, a muovere intimamente ogni gesto in realtà sono i legami caldi degli affetti, dei sentimenti profondi e del senso di cura, unica medicina (di concezione assai femminile, in verità) alla solitudine fredda e dolorosa che fronteggia tutti nel corso della vita. E le relazioni che emergono evidenti e importanti sono quelle della parentela, non guscio vuoto, ma caldo involucro di solidarietà e di responsabilità, capace di ammorbidire le asperità poste dal fato con le carezze dell’attenzione.

Un fato insolito e assai intrigante, in questo nuovo universo scaturito dalla fantasia narrativa, un fato che si esemplifica e personifica in una religione che miscela paganesimo e cristianesimo, creando un Dio forse ‘Uno’, di sicuro non ‘Trino’, ma ‘Quintuplice’. Quattro dei, infatti, che allo stesso tempo personificano le stagioni e lo scorrere ritmico e ciclico del tempo lungo gli anni - Figlia, Figlio, Madre e Padre, ovvero primavera, autunno, estate, inverno; ognuno di loro ha una sua chiesa e un suo braccio cavalleresco armato. A loro esterno ma allo stesso tempo inseparabile, il Bastardo, una specie di Lucifero non malvagio, ma assai pragmatico e persino beffardo, i cui animali totemici sembrano essere i corvi. La rappresentazione simbolica di questi dei si ha nell’architettura delle loro chiese: un tempio a quattro lobi, affiancati da una torre separata dal complesso principale, tuttavia a esso vicinissima.

Questi dei intervengono nelle vicende umane, a volte le modificano pesantemente, ma solamente se gli uomini sono disposti a farsi loro tramite: mai burattini, quindi, ma strumenti-miracoli e santi, di vicende più grandi di loro ma che è alla loro portata modificare - e così il libero arbitrio è salvo.

Ed è questo, alla fine, l’ingrediente che dà più sapore a questa ultima pietanza letteraria cucinata dalla Bujold. L’autrice ha trovato una veste religiosa e persino mistica ai valori a cui ha sempre dato spazio e rispetto nei suoi romanzi: la forza ma anche l’impegno dei legami responsabili, scelti di propria volontà, sulla spinta del cuore più che del calcolo, dell’affetto più che del ragionamento, ma poi seguiti e sostenuti con amorevole e coerente cura, accettando la responsabilità delle proprie azioni e delle loro conseguenze.

Avrete insomma pure di che riflettere - con levità, certo! - oltre che di appassionarvi e divertirvi, leggendo questa corposa avventura che di sicuro saprà tenervi compagnia.