Rand al’Thor, il Drago Rinato, continua nei suoi tentativi di unire i popoli di un mondo diviso contro il potere del Tenebroso. Non è un compito semplice, perché tra Aiel e le nazioni al di là della Dorsale del Mondo esiste un odio atavico, acuito dall’opera di Couladin e degli Shaido. La Torre Bianca divisa e in mano alle Rosse e i Reietti, antichi seguaci del Tenebroso, tentano di piegare il Drago al loro volere. Rand al’Thor, oltre che il Drago Rinato, è però anche un giovane uomo, che deve ancora comprendere ciò che il suo cuore prova nei confronti delle donne che lo amano. Il Pastore dei Fiumi Gemelli lotta per controllare i propri poteri e non cedere alla follia, mentre due gruppi tentano di raggiungerlo per dargli aiuto. Elayne Principessa di Andor, e Nynaeve, entrambe adepte delle Aes Sedai, si uniscono a un circo per fuggire dalla Ayah Nera. Intanto Siuan Sanche, un tempo a capo delle Aes Sedai e ora privata della sua carica, dà la caccia a chiunque si ribelli cercando di cambiare il corso degli eventi.

Vi prego di concedermi il tempo per una breve digressione, il senso sarà chiarito in poche righe.

Il linguaggio scritto è lo strumento attraverso il quale uno scrittore esprime ciò che vuole comunicare ai lettori. Questa è ovviamente un’affermazione lapalissiana.

Come avevo scritto nel forum, Milan Kundera ha più volte ribadito di temere enormemente la traduzione dei suoi libri, tanto da curare le edizioni straniere in prima persona (Kundera conosce diverse lingue), collaborando attivamente con il traduttore.

La traduzione è parte integrante di un libro. Le idee fanno spesso la fortuna di un romanzo, ma lo stile e la prosa sono pilastri fondamentali della comunicazione, utili strumenti che ci aiutano a sognare. Se uno scrittore con idee eccellenti si esprime male, noi non lo capiremo.

Un bravo traduttore mette tutto se stesso in un testo, comprendendo il senso e il messaggio prima ancora delle parole e delle frasi.

Una traduzione letteraria difficilmente sarà anche scorrevole. Traduzione, come detto, è infatti interpretazione. Un buon traduttore ha in sé il seme del buon scrittore.

A parer mio, quindi, una cattiva traduzione è una brutta maschera che può sfigurare un volto affascinante.

Quello che noi leggiamo ci arriva dalla lingua originale attraverso un filtro. Un ottimo traduttore riesce a comprendere il pensiero dell’autore prima ancora d’iniziare a tradurre. Un eccezionale traduttore è chi riesce a non farsi notare.

Il libro nelle nostre mani è quindi il risultato di due linguaggi, scrittura e traduzione. Se una delle due mani che impugnano la penna pecca, allora il risultato è fallato.

La recensione de I Fuochi del Cielo, attesissimo quinto volume de La Ruota del Tempo di Robert Jordan, non può esimersi dal giudicare il lavoro di traduzione, nella fattispecie compiuto da Valeria Ciocci. Non mi interessa se alla traduttrice sia stato dato poco tempo per lavorare o se più semplicemente non sia minimamente in grado di compiere il lavoro, ciò che ci interessa in questa sede è il risultato finale.

Purtroppo il risultato finale è decisamente insoddisfacente.

Fino ad oggi non mi era mai capitato di affrontare una traduzione così inadeguata da rendere difficile la lettura e da rappresentare una vera e propria gabella per l’intero romanzo.

Gli errori sono grossolani: mera traduzione di termini, soggetti sbagliati, nomi e aggettivi che non concordano, frasi complesse, sintassi sbagliata, caterve d’errori di battitura e chi più ne ha più ne metta.

Non avevo mai incontrato difficoltà con la prosa di Jordan fino ad ora, mentre i “Fuochi del Cielo” mi hanno costretto a soffermarmi più volte e a rileggere continuamente periodi misteriosi per comprenderne il senso. Jordan è sempre lo stesso scrittore, quindi di chi è la colpa…?

Oltre a questo bisogna anche dire che questo quinto volume, di per se stesso, non è uno dei migliori dello scrittore americano.

Ci troviamo di fronte ad un romanzo di “passaggio”. La trama prosegue seguendo la via tracciata nel quarto volume, ma non aggiungendo molto a quella che è la storia. I rapporti sentimentali tra i personaggi sono quelli che Jordan sviluppa forse con maggior attenzione. Per il resto, qualche battaglia, qualche intrigo, ma nessun sconvolgimento su modello dei primi 4 libri.

La trama si concentra principalmente su tre vicende parallele, Rand, Matt, Moiraine e gli Aiel all’inseguimento di Couladin e degli Shaido e in fuga dalle trappole dei Reietti; Siuan e Min alla ricerca delle Azzurre; ed infine Nynaeve ed Elayne continuamente in lotta con Moghedien. A metà volume Jordan però abbandona Min e Siuan e porta avanti soprattutto la storia dei restanti due gruppi, intervallandola con brevi parentesi su altri personaggi (per esempio Morgase).

Più volte si è accusato Jordan di perdersi in troppe parole. Non sono mai stato d’accordo con questa posizione, poiché un libro non è soltanto azione ed avvenimenti. Certo è che l’intera parte del serraglio, o per meglio dire circo, che accompagna il viaggio di Nynaeve e Elayne, non porta nulla al romanzo. La parentesi del circo consta in tante e tante pagine che affossano la scorrevolezza del volume, zeppe di personaggi accennati e insignificanti, che fanno venire voglia di correre al capitolo successivo. Probabilmente l’obiettivo dello scrittore era quello di mostrare nel miglior modo possibile i cambiamenti che stanno avvenendo nei personaggi e conseguentemente nei rapporti di forza e sentimentali all’interno dei gruppi. Forse si poteva percorrere anche un’altra strada.

Sono soprattutto i personaggi femminili ad essere oggetto dei maggiori sconvolgimenti. Per esempio Nynaeve sembra colta da perenne crisi d’identità e ci viene dipinta come mai fatto da Robert Jordan. Di volta in volta insicura, umile, capricciosa, orgogliosa, egoista, infantile, decisa, coraggiosa, ecc... ecc...

Purtroppo l’obiettivo di questa ordalia personale in parte mi sfugge. Può darsi che sia strumentale all’introduzione di un nuovo personaggio, o che sia il definitivo mutamento da crisalide a farfalla della Sapiente dei Fiumi Gemelli. Fatto sta che il ritratto stride con quello dei romanzi precedenti e che talvolta sembra tutto “superfluo”.

Il libro ha sempre dei bei momenti indipendentemente dalla traduzione e l'autore svela altri particolari interessanti, ma tirando le somme è probabilmente il peggiore finora pubblicato. Di buono c’è che Asmodean e Moghedien sono affascinanti e i Reietti cominciano a essere definiti compiutamente nei loro tratti somatici e caratteriali.

I Fuochi del Cielo è una tappa obbligatoria per tutti i fan della Ruota del Tempo, nella speranza che il prossimo libro sia migliore.

Le due sole stelle sono la media tra il nulla completo della traduzione e le tre e mezzo del libro in se stesso, piacevole, ma non eccelso.

Alla Fanucci vorrei dire di controllare meglio il prodotto finale, prima di farlo arrivare sugli scaffali delle librerie, perché è un vero peccato rovinare una saga così bella per la fretta e a causa di una traduzione dozzinale.