"Rand al’Thor, il Drago Rinato, si prepara ad attaccare il Reietto Sammael, e al tempo stesso si adopera per reprimere la ribellione portata avanti da nobili di Cairhien. Con l’aiuto degli Asha’man, Rand dovrà affrontare Sammael per conquistare la corona di Illian, un tempo nota con il nome di Corona d’Alloro e ora chiamata la Corona di Spade. Egwene al’Vere e Siuan Sanche tentano di mettersi alla guida delle Aes Sedai ribelli a Saidar e contrastare il gruppo comandato da Elaida nella Torre Bianca di Tar Valon. Intanto, nella città di Ebou Dar, Elayne Trakand, Ninaeve al’Meara e Mat Cauthon sono ancora in cerca della Scodella dei Venti, il potente ter’angreal, unico mezzo con il quale sarebbe possibile bloccare l’innaturale clima torrido che il Tenebroso ha gettato sul mondo".

Non mi era mai capitato di far fatica con un libro di Robert Jordan. La traduzione superficiale, i refusi e lo scadimento qualitativo degli ultimi titoli non aveva mai raffreddato il desiderio di addentrarmi nel mondo della Ruota del Tempo.

La Corona di Spade è la proverbiale doccia fredda. Un volumone di 888 pagine dove le prime 500 rasentano la noia.

Non che manchino i colpi di scena, o evoluzioni nella trama, ma sono tutte condensate negli ultimi capitoli e inadeguate rispetto alla mole dello scritto.

 

La sensazione globale che emerge da La Corona di Spade ricorda quello di una minestra abbastanza saporita, ma allungata a dismisura. Tale sensazione è rafforzata anche dall’arrivo sulla scena di nuovi personaggi e creature dell’Oscuro Signore: i Reietti ormai scarseggiano, quindi spazio a Prescelti redivivi (chissà chi è Moridin…?), Myrddraal misteriosi e gholam. A corto di “cattivi”, Jordan è corso ai ripari e ha gettato nel calderone qualche nuovo personaggio abbozzato, nella speranza che col tempo ne venga fuori qualcosa di buono. La speranza è che queste novità siano figlie di un’attenta pianificazione, ma il dubbio resta e la confusione, spesso fine a se stessa, continua ad aumentare.

Di positivo c’è il ritorno di antichi nemici e la definitiva maturazione di alcuni protagonisti. Nynaeve, Lan, Mat, Egwene, Min ed Elayne, solo per citare i personaggi principali, finalmente compiono gli ultimi passi sulla strada che l’autore aveva tracciato per loro fin dai primi volumi. Si regolano fumosi rapporti di forza ed emerge un ricco sottobosco di sentimenti e pulsioni, che per troppo tempo erano rimaste strangolate dalle turbe di un'adolescenza un po’ troppo prolungata. I pulcini sono finalmente cresciuti e sono pronti ad essere gli uomini e le donne che porteranno a termine (si spera) questa saga. A far loro da chioccia una nuova figura, Cadsuane, una Verde ben caratterizzata, ma con troppe qualità in comune con altri personaggi – vedi Sorilea – per essere del tutto originale. La caratterizzazione dei personaggi è sempre pregevole, ma dopo migliaia di pagine si inizia a cavare il proverbiale il sangue dalle rape.

La maturità dei protagonisti porta in dote anche un controllo migliore dei propri poteri e una consapevolezza maggiore del proprio ruolo. Mat scoprirà le responsabilità derivanti dal comando; Elayne e Egwene smetteranno di essere trascinate dalla corrente per cominciare a controllare il corso degli eventi; Nynaeve otterrà ciò che ha sempre desiderato nel momento in cui starà per perdere tutto. Queste poche perle rendono piacevole la parte finale di un libro che, altrimenti, sarebbe un insieme di episodi visti e rivisti mille volte.

C’è sicuramente una parte dei fan dello scrittore americano che apprezzano gli struggimenti sentimentali, le piccole dispute e le ripicche miste a crisi caratteriali, ma alla lunga queste amenità rischiano di annoiare mortalmente, soprattutto quando sono solo ripetizioni di cose già lette semplicemente ambientate in un luogo differente.

Anche la trama diventa meno fluida. Rispetto ai primi volumi della saga, dove ogni pezzo del mosaico andava a posto con naturalezza, ora la storia si evolve per strappi e strattoni. Il ritmo compassato e sonnacchioso delle prime cinquecento pagine lascia posto alla frenesia degli ultimi capitoli. In questa occasione però l’effetto non è quello voluto: lo scontro finale con il Reietto di turno si condensa in poche pagine poggiate su logiche abbozzate, come la scelta del luogo del duello. Un’invasione a lungo pianificata si brucia in un paio di passaggi, privandoci di una delle prerogative migliori di Jordan, la descrizione delle battaglie. E il lettore ne esce frustrato, perché vorrebbe a tutti i costi poter plasmare con le proprie mani il libro in maniera differente, condensando i noiosi primi capitoli, per lasciare ampio spazio alla seconda parte, dove ci sarebbe ben altro da dire.

Dulcis in fundo la traduzione non è certo migliorata. Ormai abbiamo capito che la colpa non è ascrivibile alla sola Valeria Ciocci, che continua, nella migliore delle ipotesi, a essere una traduttrice non all’altezza del compito. La Fanucci è corresponsabile del lavoro approssimativo della sua traduttrice. Tonnellate di refusi anche gravi sono la testimonianza che il lavoro di revisione non è affrontato con la giusta professionalità. Pessimo biglietto da visita per un libro che costa 25 euro. 

Che cosa ci rimane? Il dubbio che Jordan ci abbia un po’ marciato: pochi abbandonano una saga al settimo libro e quindi si può forse tirare le lunghe e raggiungere i dodici volumi.

A noi è toccato leggere probabilmente il peggior libro di Jordan fino ad ora pubblicato in Italia. La sensazione è che il meglio sia ormai alle spalle, sebbene la speranza sia sempre l’ultima a morire.

Due stellette di stima.