Dieci anni dopo la morte improvvisa di suo marito Sean, Anna acconsente a sposare Joseph. Alla festa di fidanzamento sono invitati Clifford, il migliore amico di Sean, e sua moglie Clara. Quando arrivano, però, Clara decide che il loro regalo non è ben incartato. Perciò fa salire Clifford da solo, mentre lei si dirige verso Central Park, ignara che un ragazzino la sta seguendo. Pochi giorni dopo, al compleanno della madre di Anna, lo stesso ragazzo si presenta e chiede di parlare da solo con Anna. Lei lo accontenta e lui le dice di essere il suo defunto marito Sean, e la esorta a non sposare Joseph.

Jonathan Glazer spreca un’occasione d’oro

Per parlare di quest'opera partiremo dal finale.

Il finale di un film, sappiamo bene, gioca una parte importante, soprattutto per il genere “soprannaturale”, perché è il momento dei chiarimenti, delle spiegazioni, delle delucidazioni. E’ nel finale che il regista rivela la capacità di reggere il gioco creato (come spesso succede con l’arcinoto M.Night Shyamalan), oppure il contrario, se il regista è totalmente disorientato nel suo stesso puzzle. E’ il caso di Jonathan Glazer, che sfruttando una tematica interessante come la reincarnazione, spreca però il tutto con un finale buttato nel fango. Ciò che manca in Glazer è il coraggio di finire ciò che ha iniziato, lasciando agli spettatori una conclusione paradossalmente aperta che lo spettatore non riesce ad accettare.

La messa in scena non ha bisogno di particolari tecniche per ricreare una godibile atmosfera da mistero e paranormale, grazie a un plot convincente.

Glazer, avvalendosi della consueta bravura di Nicole Kidman, riesce a trarre dal tema “reincarnazione” un distinto approccio all’amore, perché di questo essenzialmente si tratta: amore. L’affetto di una vedova in procinto di risposarsi che poco prima del matrimonio si ritrova davanti un bambino di 9 anni che afferma di essere la reincarnazione di suo marito Sean, morto tempo prima. E il senso logico cessa completamente di esistere, la pazzia inizia quasi a correre nelle vene. “E’ veramente Sean? E se non lo fosse, come fa a sapere tutte quelle cose sulla nostra vita matrimoniale? E perché nel corpo di un bambino di 9 anni?”. Davanti a eventi come questo, la razionalità scompare, la protagonista è pronta ad andare contro tutti (il nuovo fidanzato, la madre, ecc..) pur di riabbracciare e incoronare nuovamente il suo sogno d’amore.

“Sai che cosa facciamo? Scappiamo da qui, lontano da tutti, e fra 11 anni, quando tu avrai 21 anni, ci risposeremo” – Una frase agghiacciante pronunciata da una Nicole Kidman totalmente distrutta ma nel contempo stesso speranzosa.

Ma nonostante il bel “complotto” creatosi tra il tema e Glazer, Birth è un film fin troppo impersonale, che avrebbe avuto bisogno di una regia più decisa, non solo per regalarci un lavoro d’autore memorabile, ma anche un finale più coraggioso. E il voto non può che essere una stiracchiata sufficienza.