Come se tutto questo non bastasse, Joanne è moralmente colpita dalla stigmatizzazione dei genitori single appena pronunciata in un discorso di John Major, in cui l’allora primo ministro individua nei genitori singoli “la radice di ogni male della società”. È questo l’episodio clou alla base del suo attivo impegno sociale con la One Parent Families profuso negli anni successivi.Dopo aver inizialmente rifiutato un prestito offertole dal vecchio amico Sean Harris, Joanne cambia idea e accetta il denaro per cercare una migliore sistemazione, che trova, dopo molte ricerche (nessun locatore si sente infatti garantito a sufficienza da una madre single e disoccupata), in un appartamento in South Lorne Place. Ma le sue peripezie, purtroppo, non sono ancora terminate: nel marzo 1994 suo marito, che secondo alcune fonti nel frattempo si è lasciato andare alla tossicodipendenza, piomba nella capitale scozzese in cerca della moglie e della figlia. Alla depressione e all’insicurezza economica si aggiunge ora, nel cuore di Joanne, la paura per la propria incolumità e per quella di Jessica. La scrittrice chiede e ottiene dal tribunale un ordine di restrizione contro Arantes, per prevenire qualunque molestia da parte di quest’ultimo. Jorge si rassegna allora alla perdita e Joanne chiede il divorzio nell’agosto di quello stesso anno.Esasperata dalla cattiva sorte, è soprattutto un pensiero a ossessionarla: “Mi sentivo arrabbiata perché stavo deludendo mia figlia… [Un’amica] aveva avuto un bambino solo un paio di mesi prima di me e quando vidi la stanza di Thomas piena di giocattoli, mentre quelli di Jessica, quando li impachettai, stavano in una scatola da scarpe, tornai a casa e mi consumai gli occhi a furia di piangere”. Questa diventa probabilmente la spinta determinante per invertire il circolo vizioso in cui la ragazza si ritrova. Cerca allora aiuto nel counseling e, grazie a esso, riesce a riprendere a scribacchiare, cosa che sino ad allora non ha avuto né tempo né ispirazione di fare. Ancora una volta, scrivere riaccende la magia e rinfocola il senso di autostima in Joanne. I fiori della sua pianta, che sino ad allora hanno atteso pazienti all’ombra del loro cassetto, hanno per la prima volta dopo tanto tempo un gioioso fremito. La scrittrice ripensa sempre più spesso a quel terzo di Pietra Filosofale che giace inoperoso in fondo a una scatola assieme a tutti gli altri appunti che le sono costati tanta fatica. Per la prima volta accarezza l’idea di giocare il tutto per tutto e ricavare, da quell’ammasso parzialmente informe, un libro imperniato sul tema centrale della mitica pietra alchemica: “Qual’era la peggior cosa che poteva accadermi? Ogni editore in Gran Bretagna poteva rifiutarmi. Sai che roba!”. Prima però va in cerca di una conferma psicologica e risolve di mettere la sorella a parte del proprio segreto su Harry, facendole leggere i primi tre capitoli del manoscritto. “È possibile che, se Di non avesse riso, avrei messo tutto da parte. Ma Di rise”, racconterà durante la promozione del libro. Incoraggiata dalla positiva reazione della sorella, Joanne si rimette a scrivere con costanza. Riprende una vecchia abitudine di quando era ragazza, ora modificata in base al suo status di mamma: ogni giorno esce a passeggio con Jessica e, non appena la bimba si addormenta nel passeggino, si precipita in un caffè – come faceva tanti anni prima negli intervalli del pranzo – si accomoda a un tavolo che dia su una finestra, ordina una bevanda calda e si mette a scrivere finché la figlioletta non si sveglia dal pisolino. A volte, se non è troppo stanca, Joanne riprende il lavoro anche la sera, a casa, dopo aver messo a letto Jessica.

Scrive con carta e penna, perché un word processor ha costi per lei proibitivi. Ma non le dà fastidio, anzi. Anche in seguito, quando ormai gli introiti le permetterebbero di comprarsi l’intera Microsoft, affermerà: “Mi piace ancora scrivere a mano. Normalmente faccio la prima stesura con carta e penna e la prima revisione quando la batto al computer”. E confiderà alla Canadian Broadcasting Co. di essere stata oggetto, a questo proposito, di leggende metropolitane che hanno un sapore dickensiano, ma che danno anche la misura di quanto può essere stupido un cronista. Infatti, riferendo la conversazione con un giornalista americano, che evidentemente la riteneva così povera da non potersi permettere nemmeno un block notes, Joanne racconta: “Mi chiese: É vero che scrisse l’intero primo romanzo sui pannolini di sua figlia perché non aveva carta? Sono stata tentata di dirgli: No, l’ho scritto sulle bustine del tè. Le conservavo apposta".