Vale la pena di leggere Il cimitero senza lapidi e altre storie nere anche solo per godere della sua introduzione. “Da giovane”, esordisce Neil Gaiman “e davvero non sembra passato tutto questo tempo, adoravo i libri di racconti”. I racconti, ci insegna l’autore inglese, hanno di bello che possono essere letti senza troppo impegno, approfittando di pause e momenti liberi. Hanno bisogno di poche pagine per trasportarti da un’altra parte (“viaggi fino all’estremo opposto dell’universo che puoi fare con la certezza di essere di ritorno per l’ora di cena”).

La teoria è di Edgar Allan Poe, che molto seriamente, ne faceva un teorema che prevedeva la sequenza lungo la quale il lettore doveva essere coinvolto e, infine, sconvolto. Poe era un romantico che credeva nella ragione, un americano convinto di essere inglese. In generale viveva male le proprie contraddizioni. Gaiman è un inglese che vive in America e che è convinto che la ragione sia un sottogenere del fantastico. Le sue contraddizioni sono più simpatiche. Le sue teorie letterarie sono cordiali considerazioni su come è possibile godere meglio di un buon racconto e su come una raccolta offra l’opportunità di diversi piaceri.

Gaiman si propone prima di tutto questo: divertire. La letteratura deve coinvolgere, appassionare. Il suo fine è il più pagano dei piaceri. Non è un caso che Gaiman abbia approfittato della lezione di Zelazny per resuscitare, in American Gods, i più venerabili fra gli antichi dèi, e abbia insistito su questa strada con Anansi boys.  Gli dèi sono una chiave nel gioco di revisionismo postmoderno che permettono a Gaiman di riscrivere la  storia degli ultimi duemila anni da un’angolazione diversa: fantastica e non realistica, gaudente e non moralista, sassone e non romana. Lo stesso procedimento è presente più volte nei suoi fumetti, a partire da Sandman fino ad arrivare al recentissimo Gli Eterni (rivisitazione dei personaggi di Kirby).

Coerentemente a questa visione della vita e della letteratura secondo Gaiman non c’è nulla di meglio di un racconto per un breve, non impegnato, divertimento. Le raccolte di racconti, in questo senso, sono scrigni pieni di tesori. Inoltre hanno  “un altro lato positivo: non sei tenuto ad apprezzarli tutti”. Per questo motivo i racconti del libro, scritti in varie fasi della vita dell’autore sono diversissimi l’uno dall’altro. Questo è Gaiman, un autore che non si limita ad adattare il suo stile al genere, ma a fare di tutti gli stili, il suo. Unico e inimitabile. Varia i generi rinnovandoli nel gioco delle citazioni e degli ammiccamenti.  Lo stesso titolo originale, M is for magic, è un omaggio al R is for Racket e al S is for Space del suo maestro, Ray Bradbury. I racconti in tutto sono undici.  Non tutti dello stesso valore, ma sempre capaci di offrire personaggi, situazioni, spunti, immagini che il lettore non può che essere contento di aver incontrato.

Siamo contenti si aver conosciuto Nobody Owens, protagonista del gotico Il cimitero senza lapidi, un bambino cresciuto in un cimitero, allevato ed educato dai defunti. Il suo è un racconto invernale, da caminetto, che commuove e mette i brividi.

Puro Gayman è Come vendere il ponte di Ponti, in cui in una delle serata che si tengono nel fantomatico Club dei Furfanti di Lost Carnadine, fa la sua comparsa un personaggio ispirato a Victor Lustig, il mitico truffatore che nei primi del Novecento è più volte riuscito a vendere la torre Eiffel ai turisti americani.  Una graziosa favola.

Arriviamo negli anni Settanta, musica punk e curiosità sessuali di giovani adolescenti, per vedere impegnato Gaiman in una storia fantascientifica, Come parlare colle ragazze alle feste, in cui viene elaborata una ricca metafora dell’esistenza come viaggio interplanetario.

È doveroso, inoltre, citare un piccolo capolavoro: Il ponte del Troll. Il protagonista del racconto passeggia con una ragazza (ancora il tema dell’iniziazione sessuale) e incontra un troll. I troll hanno una sola passione, rubare le vite degli altri.

Nel 2006 Rizzoli ha pubblicato The stolen childen di Keith Donohue (Il bambino che non era vero, trad. it. di E. Humouda). Anche in questo libro vengono esplorate le vicissitudini di una vita rubata. Donohue ne fa una tragedia. Per Gaiman  è una malinconica occasione per raccontare una vita e per riflettere come sia  proprio l’uomo, con le sue distratte passioni, a esporre la propria esistenza al furto.

Ritroviamo la stessa sagace, dolce e spiritosa saggezza perfino nella filastrocca, Istruzioni, che chiude la raccolta e che ci insegna come comportarsi nel caso ci si ritrovi dentro una fiaba.

Gaiman è uno scrigno pieno di tesori.