La nuova fatica cinematografica della superstar Will Smith comincia a trecento all’ora, alla guida di una super auto turbo, sfrecciando fra i palazzi di una fascinosa New York infestata dalle ortiche, dove branchi di cervi sbattono gli zoccoli sul cemento di Wall Street.

Il nostro eroe, ultimo uomo sulla Terra, accompagnato dal solito, inseparabile cagnone che fa tanta tenerezza, guida come un pazzo evitando pompe di benzina in disuso e foreste di automobili in preda alla ruggine, cercando di sparare col classico fucile di precisione ai poveri animali cornuti. Fast and Furious più Il Cacciatore, o qualcosa del genere. 

Vista la premessa, se proprio non siamo entrati al cinema per sbaglio, sappiamo che prima o poi spunteranno gli zombie/vampiri/non morti che sono il sugo della pellicola e già ci aspettiamo il buon mr. Smith prenderli a calcioni sulle mandibole penzolanti, temiamo a suon di arti marziali. L’attore ci appare in gran forma fin dall’inizio, ci viene detto che il suo alter ego Robert Neville è un militare superaddestrato e uno scienziato di fama mondiale nello stesso tempo (sapesse anche fare il risotto con l’ossobuco sarebbe da sposare): mettersi il cuore in pace e aspettarsi una versione riveduta e corretta del marvelliano Blade è perlomeno lecito. Poco importa se dopo tre centesimi di secondo di film ci fanno capire che i mostri son affetti dalla versione mutata di un viurs, giusto per dare una patina – sottile sottile –  di veridicità scientifica al tutto.

 

Robert (Will Smith) e la sua unica companga, Samantha
Robert (Will Smith) e la sua unica companga, Samantha
La storia dell’uomo rimasto solo nella grande metropoli mentre il resto dell’umanità è schiattata o si è trasformata in qualcosa di sanguinolento e sbavante, non è per nulla nuova al grande schermo; il 28 Giorni Dopo di Danny Boyle è un palese esempio. E se qualcuno poteva essere attirato dal fatto che il film è l’adattamento ufficiale del romanzo omonimo di Richard Matheson (in Italia per Fanucci), gli diciamo fin da subito che pellicola e carta hanno molto poco in comune, idea di base, titolo e nome del protagonista a parte. Sono due cose profondamente diverse nella sostanza, e questo non significa che una delle due debba per forza essere una schifezza.

E infatti, nonostante l’overdose di cose già viste, qualche luogo comune sbattuto qua e là, forzature mostruose su chi e cosa agisce il benedetto virus messe lì per far scorrere la trama, il titolo dell’imbarazzante Constantine nel curriculum del regista Francis Lawrence, il film funziona.

Spesso e volentieri c’è capitato di leggere la frase “Capace di trasmettere un senso d’angoscia allo spettatore”, magari appiccicata a filmoni di 4 ore e mezza con una scena d’azione di numero, dove non è ben chiaro se l’angoscia viene da quello che c’è sullo schermo o dal timore di farsi venire le piaghe da decubito al fondoschiena.

L’affermazione calza, invece, a pennello su questo Io Sono Leggenda targato Warner Bros. Pictures; c’è un senso di puro fastidio nel seguire la disperazione del solitario Robert, la sua triste follia, l’inutile ricerca di una speranza.

L’uomo che vive secondo le regole di un’umanità che non c’è più, intelligente tanto da sembrare normale, in realtà forse del tutto pazzo. Sono tristi e disturbanti i radi capelli bianchi di Will Smith, gli occhi velati e le rughe di dolore, il fisico scultoreo montato sul viso vecchio di un uomo senza futuro. Il film non fa paura, solo infinita tristezza, strappa qualche bella lacrima, e il vero effetto speciale è proprio l’interpretazione di Smith, che dai tempi in cui dinoccolava al fianco del cugino-ballerino Carlton (Alfonso Ribeiro) nel Pricipe di Bel-Air sembra aver fatto un milione di miglia sulla strada del cinema. Grazie a lui tutto passa in secondo piano, comprese un paio di scene d’azione esagerate e la computer grafica degli ipotricotici Cacciatori Notturni, gli zombie succhiasangue che fanno da cattivi, sulla quale la produzione sembra aver voluto risparmiare un tantino. Se i dollaroni avanzati sono finiti nel cache di Smith, sono stati soldi ben spesi.

In aiuto dell’attore i paesaggi di una New York abbandonata e decadente, capace di trasmettere un gusto sottilmente romantico, con buona pace dei tanti castelli fiabeschi che spopolano al cinema in questi giorni.

Difficile giudicare il finale, che ovviamente non vi sveliamo, ma vi diciamo che tutto sommato chiude il cerchio di un film che merita i chilometri di fila che abbiamo trovato alla cassa del multisala.