Gabriele ed Errico, benvenuti su FantasyMagazine.

GM: Grazie. Bentrovati a voi e a tutta la comunità.

EP: Un ringraziamento a voi ed un saluto ai lettori.

Il vostro legame con il fantasy è profondo, radicato da lunga data…

GM: Beh, voglio raccontare un aneddoto: era il 1978 e stavo leggendo La cerca del Santo Graal, per le edizioni Rusconi; in quarta di copertina c’era la pubblicità del Signore degli Anelli e domandai a mio fratello – di otto anni più grande di me – di cosa si trattasse: lui rispose di lasciar perdere, che non mi sarebbe piaciuto. Io invece l’ho comprato, dopo dieci anni arrivavo finalista al premio intitolato proprio a Tolkien, ed eccomi ancora qua a parlarne, dopo trent’anni…

EP: Risale ai tempi del liceo e nasce per motivi bassamente sentimentali: una mia passione di gioventù amava “Il Signore degli Anelli” e io mi regolai di conseguenza. Lei è passata, la passione per Tolkien e il suo genere no.

Prima di entrare nello specifico del vostro romanzo, Il regno nascosto, parliamo un po’ del fantasy in generale. Cosa amate di più di questo genere? Quale trovate sia la sua forza oggettiva? E perché trova particolare riscontro di pubblico, in questi ultimi anni?

GM: La potenza della “possibilità”. Nel nostro mondo, anzi nel nostro tempo, la vita di ognuno di noi è scandita da mediazioni tra ciò che vorremmo fare davvero e quel che invece possiamo fare in relazione alla convivenza civile e alle responsabilità familiari e sociali. Negli universi alternativi della fantasia, invece, i protagonisti non hanno bollette da pagare, scatti di carriera, pannolini, riunioni di condominio e vacanze intelligenti. Trovano il coraggio, pigliano e partono e non devono nemmeno telefonare a casa perché tornano tardi. Possono conquistare mondi, anche interiori, farsi giustizia da soli e sotterrare tutti i Sauron dell’universo (o almeno provarci) con grande soddisfazione e nessun pentimento. E a ben vedere, è anche un insegnamento positivo a credere di più in se stessi, no?

EP: La sua forza è nella capacità di unire la forza spettacolare alla proposta di valori etici. Il suo successo si deve alla proposta di identità e ruoli “forti”, in una società che invece tende ad omologare tutto e tutti.

E le potenzialità ancora inespresse?

GM: Infinite, come dimostra il ciclo di George Martin, Le cronache del ghiaccio e del fuoco, nel quale si trovano tradizioni e popoli per tutti i gusti, anche simili a quelli che abitano a latitudini più calde, com’è nel nostro Mediterraneo: cosa fino ad oggi abbastanza inconsueta, visto che tutti i cicli fantasy viaggiano tra cieli corruschi e ghiacci e mari in tempesta o placidi laghi tra boschi lussureggianti. Il Grande Nord, insomma. E siccome il vecchio Lovecraft diceva che la sola magia rimasta in Occidente è quella delle antiche pietre e delle vestigia passate, dove mai più che a Roma è possibile trovarne? Ecco una potenzialità inespressa che meriterebbe.. espressione, appunto. E non per niente il mio primo racconto, quello del Premio Tolkien, parlava proprio della magia del Vero Nome di Roma…

EP: Non ne vedo. Il problema è semmai recuperare la qualità letteraria, ultimamente un po’ scaduta di livello.

Il fantasy è un genere tendenzialmente manicheo?

GM: Tendenzialmente sì, non c’è dubbio. Ma sarebbe limitante definirlo così. Lo è senz’altro per la grande massa dei romanzi di questo genere, certo, ma non per i migliori, nei quali la linea tra Bene e Male è spesso molto sottile. Ricordo Smeagol/Gollum, tanto per fare un esempio di una complessità molto poco manichea. O anche, tornando a George Martin, l’estremo groviglio delle ragioni che muovono ora l’uno ora l’altro personaggio: ragioni che, se non giustificano le azioni malvagie, certamente aiutano a capirne le motivazioni.

EP: Sì, soprattutto nella sua declinazione “tradizionalista”, e non trovo negativa questa connotazione, come invece fanno molti critici. Essa rinvia alla derivazione epica e mitica del genere.

Esprimo in sintesi, semplificando per ovvie ragioni di contesto, un concetto complesso, allo scopo di sentire la vostra opinione in merito. Il fantasy ha caratteristiche proprie, ma è pure erede delle fiabe, delle saghe mitologiche, delle canzoni di gesta, dell’epica, delle quest… storie (patrimonio scritto e orale) ad alto coinvolgimento e di grande creatività, e spesso ad impianto allegorico. Il genere fantasy ha raccolto tale capitale di tradizioni e letteratura, salvandolo dalla ragione pura, e lo ha rivisitato attraverso i canoni della letteratura evasiva, a fruibilità popolare piuttosto che élitaria.
Come conseguenza, potremmo (a grandi linee e con tutte le eccezioni del caso) individuare due linee estreme di approccio alla scrittura fantasy, con tutto il resto della produzione che si colloca in punti intermedi. Le due posizioni limite sono rappresentate: a) da romanzi liberi da vincoli di metafore consapevoli, distillati di appassionante ma intelligente escapismo, b) romanzi volutamente allegorici, più o meno ricchi di metafore mirate a riproporre la realtà, attuale o storica, su sfondi fantastici, che comunque non vengono meno al patto evasivo.