Difficile giudicare un'opera prima senza rischiare l'indulgenza. Ma un libro disponibile in libreria al pari di altri, deve essere giudicato per quello che è a prescindere di questo fattore.

L'antefatto è la fuga precipitosa di una donna con sua figlia, nata da poco, fra le braccia.

La donna riesce a mettere in salvo la piccola, affidandola a un istituto per bimbi abbandonati. I misteriosi inseguitori della donna, una setta di fanatici del Sole, rimangono a bocca asciutta perchè non riescono a catturarla viva.

La piccola, chiamata Twilight, ma ribattezzata con il diminuitivo Twil, cresce nell'istituto e, poiché  albina e con gli occhi rossi, viene isolata per il suo aspetto.

Accanita nella sua persecuzione sembra essere la compagna Shaulah. Un giorno arriva nell'istituto il giovane Alcor. Ormai Twil ha poco più di 15 anni, ed è sicuramente attratta da questo giovane, suo coetaneo, che si rivela essere un ladro mutaforma, l'ultimo della sua razza.

Sfondo alle vicende dei ragazzi è la Città. L'unica città rimasta, estesa per una superficie incalcolabile. La Città è praticamente tutto ciò che rimane della civilizzazione. Il centro della città, i quartieri Alti, sono luminosi e lussuosi, con negozi pieni di merce e traffico di persone e veicoli. Più ci si allontana da tali quartieri più si avverte la decadenza, fino ad arrivare a sobborghi degradati, con palazzi abbandonati e baraccopoli. La popolazione è eterogenea, non solo umani, ma anche elfi, nani e tutto il pantheon di mitiche creature tipiche degli universi fantasy.

L'amicizia tra Alcor e Twil cresce, i due fanno fronte comune, sentendosi diversi tra i diversi, osteggiati dalla sempre più dispotica Shalulah.

Un giorno, per il compleanno di Twil, Alcor la convince a uscire dall'istituto. I due trascorrono la giornata fuori, in armonia, ma la sera, l'oscurità cala prima che riescano a rientrare. La città, popolosa durante il giorno, diventa silenziosa, buia e pericolosa di notte. I due vengono aggrediti da due creature. E' in questa occasione che Twil manifesta il suo potere, la capacità di dominare il fuoco del sole, diventando una fenice infuocata, che tutto distrugge intorno a lei.

Non è il lungo antefatto, è il racconto di quasi mezzo romanzo.

In realtà nonostante la foliazione ridotta l'inizio del romanzo non è molto scorrevole. Il primo capitolo sembra indugiare un po' più del necessario sulla madre di Twil. Sembra quasi di vederla salire ogni singolo scalino, di vederla svoltare ogni vicolo. Passato lo scoglio dell'antefatto, siamo già in compagnia dell'adolescente Twil.  Sappiamo che succederà qualcosa, ma non sappiamo bene quando.  La prosa diventa scorrevole, ma la vicenda si  comprime sui problemi esistenziali di Twil, adolescente problematica non solo perchè è problematico essere adolescenti, ma anche perchè esclusa tra gli esclusi. L'incontro con Alcor è un momento molto vivo. Una pagina che spicca tra le altre quasi come fosse disegnata o proiettata come in un film.  Altri momenti molto partecipati dall'autore sono i flashback sul passato di Alcor.  E' quindi innegabile che non solo Twil e Alcor sono i protagonisti del romanzo, ma che sono anche i personaggi meglio costruiti.

Gli antagonisti non rubano la scena, non la ruba mai la bulletta Shaulah, nè sembra chiaro lo scopo finale della Predicatrice, a capo della Setta che vuole impadronirsi del potere di Twil. Il nephilim è pura carne da cannone, la storia della letteratura o del cinema, è piena di killer con un minimo di caratterizzazione, in questo momento mi vengono in mente i taciturni Oddjob e Squalo dei film di Bond, non è questo il caso, trattandosi di un personaggio purtroppo senza spessore.

Dal momento della rivelazione del potere in poi, il romanzo diventa la storia di una fuga, anche non si avvia proprio subito dopo, c'è ancora qualche pausa introspettiva prima.

Il pregio di questa fuga è di non durare troppo. Se il romanzo sembra fermarsi molto sulle speculazioni  e sulle emozioni dei suoi protagonisti, in particolare sulle ansie e sulle insicurezze di Twil, è scorrevole nelle parti d'azione, che autori più "furbi" avrebbero fatto durare molto di più.

Ecco che quindi la parte di risoluzione dei misteri e di scioglimento dell'intreccio scorre velocemente, portando il lettore senza sforzo all'epilogo.

Il lettore però rimane con molte domande. Non tanto sulla trama, che risponde a poche semplici domande, ma sull'ambientazione complessiva.

La Città, immenso agglomerato dove si concentra la maggior parte dell'umanità, come vive realmente? Qual è la sua forma di governo? Quali sono gli stili di vita dei suoi abitanti?

Il romanzo risponde in parte a questi interrogativi, staccando nettamente lo sfondo dalla vicenda, non rendendo mai la Città una dei protagonisti.

E' un peccato. Non che l'idea del grande agglomerato urbano sia originalissima, da Metropolis a Trantor fino ad arrivare a Coruscant, di esempi del genere ce ne sono a iosa; ma avendo un contenitore ricco di potenzialità, sembra che queste siano rimaste nel cassetto dell'autore o nel suo computer. Magari per essere sfruttate in prossimi romanzi.

Lasciato libero dall'autore di speculare sulle origini della Città, il sottoscritto l'aveva immaginata come il futuro di quei mondi medievaleggianti di tanto fantasy, che dovranno pur un giorno evolversi dal punto di vista tecnologico. Ecco che quindi una città nella quale convivono uomini, elfi e nani aveva una storia alle spalle. In realtà l'autore ha inteso questa città come l'ennesimo futuro post-atomico, dove elfi, nani, fate e creature varie sono frutto della mutazione genetica. Quindi se in alcuni passi del romanzo, le trasformazioni di Alcor, per esempio, sembra che siamo nel terreno della Magia, l'interpretazione "autentica" dell'autore mi riporta nel dominio di una fantascienza "magica".

E' pur vero che una simile interpretazione dà più senso alla senzazione generale che questo romanzo debba molto ai Manga e all'opera di Miyazaki. Anche questa tesi è smentita dall'autore, che se è stato influenzato da queste fonti, lo è stato in modo involontario. Eppure sia nelle parti d'azione la struttura manga è evidente, come lo è nelle parti introspettive e sentimentali, intrise di quel sentimentalismo un po' retorico che però a noi della "Generazione Goldrake" non è mai dispiaciuto.

Il risultato finale è che il romanzo è scritto con una buona prosa, che bilancia le imperfezioni di una costruzione narrativa che poteva essere migliore, magari avendo un po' più di pagine a disposizione.

La scelta dell'autore di limitarsi nella foliazione è encomiabile, dato il proliferare di tomi "mattone" riempiti di nulla, ma è pur vero che se hai tanto da dire è meglio non riservarselo per dopo, ma sparare subito tutte le cartucce migliori.