L'impero Malazan ha perso il suo Imperatore.

L'arcigna Surly, ex sottoposta, si è impossessata del potere, divenendo l'Imperatrice Laseen, nome che nella sua lingua madre significa “Signora del Trono”.

Il malcontento si sta però diffondendo rapidamente nell'Impero Malazan, per via dell'estenuante guerra espansionistica. Persino le legioni imperiali, sottoposte a continui massacri, desiderano ardentemente una tregua. Ma il dominio dell'imperatrice Laseen, sostenuta dai temibili sicari dell'Artiglio, rimane assoluto e incontrastato, e i suoi eserciti muovono alla conquista delle città ancora libere dal giogo imperiale. E proprio quando sembra vicina la capitolazione dell'ultima città a resistere, si mettono in moto poteri oscuri al di là di ogni immaginazione e gli dei stessi dovranno schierarsi nell'imminente lotta.

[Andrea D'Angelo]

Erano anni che non leggevo un romanzo fantasy che mi appassionasse a tal punto. Così, tanto per comunicarvi subito il mio entusiasmo per questo I giardini della luna di Steven Erikson.

Il mondo della narrativa fantasy è stato spesso tacciato di ripetitività, d’incapacità di rinnovamento, di estenuante emulazione del glorioso passato.

Sono d’accordo, tutto sommato. Ma per un motivo, se mi permettete, un po’ più sottile di quanto si blatera nei salotti della “cultura” italiana.

A ben leggere, ultimamente tutto ciò che si è visto di “nuovo” appartiene ad autori che strizzano l’occhio alla commistione di generi (il pluripremiato China Mieville con il suo Perdido Street Station, ad esempio) o allo storico (come George Martin, che nelle sue Cronache del ghiaccio e del fuoco si fa forte di un’ambientazione medievale nel senso più stretto del termine).

Ma il fantasy, quello puro, quello basato su un’ambientazione priva di compromessi e ammiccamenti, dov’è finito?

Nella saga di Steven Erikson (che l’Armenia ha importato in Italia con un triplo carpiato, dal momento che solitamente traduce Dragonlance e Forgotten Realms - ormai non proprio il top della gamma, non me ne vogliamo i fan di Raistlin & Co...). Tendenze di mercato, ché il fantasy tira anche in Italia, ma sicuramente operazione meritoria.

Fantasy puro, quindi, e di gran impatto, ricco di un’ambientazione caleidoscopica e sbalorditiva, animata da razze umane e non-umane che sono una gioia per il cuore, radicata in un retroterra storico dettagliato ed evocativo, incantata da una magia che per varietà ricorda i mille e mille riti e credo del nostro pianeta Terra.

Sono troppi i meriti di Erikson per tentare di elencarli tutti, anziché consigliarvi di leggervi il romanzo e basta.

Ecco, leggetevi I giardini della luna, alla peggio avrete letto qualcosa che ha un capo e una coda; a suo modo uno sputo in faccia alle solite saghe prive di coda che vanno per la maggiore. E permettetemi un primo grido di giubilo.

Parlavo di troppi meriti, ma alcuni sono sicuramente macroscopici e vanno sottolineati.

Lo stile è veloce, privo di fronzoli, eppure tutt’altro che trascurato nello stile (rapidità di scrittura non è sinonimo di piattezza espressiva, cosa che ultimamente qualcuno vuol far passare per “rivelazione”). Non perde tempo: ogni scena porta avanti il romanzo, lo sospinge. Nulla è statico. Nel contempo, nulla è superficiale. Pensando a certe estenuanti descrizioni che mi sono sorbito ultimamente... che folata d’aria fresca (secondo grido di giubilo)!

L’autore considera il lettore acuto e attento, catapultandolo nel bel mezzo di una vicenda che parte al galoppo, intrisa di dialoghi impossibili da seguire mentre ci si assopisce la sera, zeppa di personaggi e di particolari che soltanto una mente sveglia registra a dovere.

Inoltre, finalmente considera il lettore adulto, dandogli in pasto personaggi tormentati, spesso tratteggiati con poche pennellate, vero, ma magistrali.

E, sbalorditivo, per quanto potere scateni a mezzo magia, Erikson riesce sempre a impressionare con qualcosa di ancora più terrificante o, sublime, con qualcosa di umanamente inquietante o di sottilmente emozionale. Tanto che termini come climax e pathos vengono giustamente celebrati tra le pagine del suo romanzo.

Lasciate che mi abbandoni al mio giubileo personale.

Ancora una volta, dunque, perché “ottimo” e non “eccellente”? Sono davvero così incontentabile? Be’, sì, immagino di sì. Ma, vi giuro, questa volta l’unica cosa che mi ha trattenuto dal dare un “eccellente” è stata l’idea che l’autore possa migliorarsi: in fondo, mi dico, questo è un romanzo d’esordio (da impallidire, lo confesso)!

I difetti oggettivi ci sono, sebbene minimi. A tratti Erikson è stato davvero troppo diretto nel dare informazioni circa l’ambientazione per mezzo delle voci dei personaggi (info-dump). E mi è rimasto il sottile dubbio che a volte la natura esigente di questo testo (tantissimi personaggi e una certa frenesia) non nasconda sempre e solo l’intenzione d’esigere, ma anche una certa inesperienza che ha portato l’autore a una narrazione poco equilibrata, che pretende troppo.

Questa stessa frenesia, inoltre, circa i personaggi a volte sembra sfociare in superficialità - soprattutto nel caso di Paran, uno dei principali protagonisti -; e, se non è superficialità, è un'erronea sottovalutazione dell'aspetto umano.

Ultima nota di merito e demerito per la traduzione: è sicuramente un buon lavoro, soprattutto rispetto agli orrori perpetrati con Dragonlance e Forgotten Realms.

A fronte della versione inglese, però, ho notato alcuni tagli (marginali? Non posso controllare tutte e 600 le pagine) e a volte delle scelte opinabili (dal basso della mia scarsa conoscenza dell’inglese). Di queste scelte opinabili, una su tutte, il titolo dato alla saga in italiano: La caduta di Malazan. In originale i romanzi della saga sono legati dal titolo comune “Malazan Book of the Fallen” (Libro Malazan dei Caduti) e l’autore stesso ne spiega il motivo in un’intervista reperibile su internet, in cui sottolinea che i suoi romanzi parlano dei caduti, in tutti i sensi (ossia non soltanto fisicamente - morte). E questa ragione, ancora una volta profonda, non ha nulla a che fare con la caduta di un impero (Malazan), che per quanto ne sappiamo potrebbe anche non avvenire.

Note di demerito finali: una copertina orrenda, con pezzi illustrati appiccicati sopra la fotografia di un paesaggio simile all'Arizona e le mappe, compresse e annerite a tal punto rispetto alle versioni originali da essere quasi illeggibili. Non facciamoci notare per fare le cose sempre con meno cura...

Fine. Mi fermo! Secondo i miei parametri, Steven Erikson è il migliore in circolazione. Ancora qui?

[Daniele Urso]

L’arrivo in Italia de “I Giardini della Luna” di Steven Erikson ha segnato un profondo cambiamento nella politica editoriale Armenia, che si era contraddistinta fino ad ora nella pubblicazione di autori conosciuti (Salvatore) e di libri ambientati nel mondo D&D e DragonLance. Ambientazioni godibili, ma non necessariamente molto innovative.

La scelta, però, di puntare su un autore affermato (tra Inghilterra, Canada e Stati Uniti la saga Malazan spopola da 5 anni) e che verrà seguito da altri scrittori bestseller (pare di prossima pubblicazione anche L.E. Modesitt jr.), alza il livello delle pubblicazioni Armenia e si traduce in una scorpacciata di qualità per noi amanti della fantasy.

Va premesso che non è semplice scrivere la recensione di un romanzo come questo. La struttura scelta da Erikson è sicuramente avvincente, ma si regge sulla scoperta passo per passo del mondo in cui ci si trova e delle vicende in atto. Molta deve essere quindi la cautela con la quale ci si deve accostare a questa recensione.

Non vedevo l’ora di leggere “Gardens of the Moon”, su tutti i forum specializzati se ne parlava molto positivamente.

L’impatto non è stato semplicissimo.

Erikson adotta una struttura narrativa decisamente insolita, iniziando a narrarci le vicende dell’impero Malazan come se l’interlocutore ne conoscesse già la storia e le tradizioni nei minimi particolari. Per chi è abituato ad una struttura narrativa di tipo “classico”, tutto questo può risultare frustrante, almeno inizialmente. Con il passare delle pagine, però, Erikson ci dispensa informazioni e lascia cadere sulla nostra strada qualche indizio che permette di comprendere meglio le leggi e gli equilibri di forza che regolano il mondo in cui ci siamo calati.

Non è un processo immediato, infatti dopo quasi 200 pagine non si è ancora ben capito cosa sia un “ascendente”, o cosa sia un “canale” che, per intenderci, sono due elementi fondamentali per la comprensione del romanzo. Lungi dall’esserne frustrato, però, il lettore si getta a capofitto nella storia e divora una pagina dopo l’altra nel tentativo di dirimere una trama molto evoluta e complessa.

Lo stile di Erikson, diretto e brillante, ingolosisce ulteriormente il libro. Non ci si perde in inutili e infinite descrizioni e la trama è incalzante. Si può pensare talvolta a una narrazione scarna, ma ci si ricrede subito, quando si giunge a momenti di svolta o confronti fondamentali; in questi momenti Erikson riesce magistralmente a comunicare pathos e drammaticità, trasmettendo il senso epico del momento.

Un merito va immediatamente riconosciuto a Steven Erikson: il mondo che ha creato è stupendo e complesso. Ci speravo veramente, perché cercavo da un po’ un autore che si elevasse al di sopra della media e che proponesse un mondo vasto e particolareggiato. La ricerca alla base della saga del “Libro Malazan dei Caduti” (non è un errore mio, fidatevi, poi ci arriveremo) è straordinaria e la si può evincere anche solo sbirciando tra le appendici del libro. Aiutato dal proprio retaggio antropologico, Erikson ci propone un mondo ricco e popolato in cui la componente magica e la cosmologia sono ben strutturate e molto accurate. La magia non viene spiegata in ogni suo minimo aspetto, ma con il passare delle pagine il quadro generale e le regole che la caratterizzano emergono in maniera molto chiara. La cosmologia religiosa segue lo stesso schema. Inizialmente ci si perde tra canali, ascendenti, dei e case, anche perché magia e religione sono profondamente intrecciate, ma con l’evolversi della storia tutto comincia a prendere una conformazione precisa. L’idea degli ascendenti, dei canali e degli dei, come l’ha strutturata Erikson, diventa ben presto geniale e affascinerà anche il lettore più esigente.

I personaggi sono interessanti e molto vari. A fianco dei classici stereotipi della letteratura fantasy moderna (l’ufficiale disilluso Paran, l’assassino retto Rallick Nom, il giovane ladro Crokus, il generale amato e temibile Dujek, ecc...) troviamo caratterizzazioni insolite e accattivanti, come Hairlock, Kruppe e l’enigmatico Onos T’oolan. Collegati con questi personaggi ci sono i vari dei e ascendenti ed è proprio qui che Erikson compie un altro sforzo brillante e meritevole. Gli dei nella cosmologia Malazan non sono né deus ex machina invincibili, né piagnucolanti divinità decadute. I confini tra mortali, razze antiche, ascendenti e divinità sono molto sottili e non certo per puro caso. L’insieme che si forma è decisamente intrigante e fornisce un senso di vulnerabilità dei personaggi che rende la lettura avvincente.

Dopo tutta questa agiografia eriksoniana ci si dovrebbe aspettare un bel “eccellente”, ma a conti fatti non è così. La mia valutazione non va oltre l’ottimo meno.

Perché?

Alcuni aspetti negativi ci sono. Innanzitutto la traduzione: ottima per quasi tutto il libro si perde nel titolo della saga. Tradotta correttamente a pag. 590 (l’ultima del libro) con “Libro Malazan dei Caduti”, la copertina si presenta con un erroneo e pericolosamente fuorviante “La Caduta di Malazan”.

Per quanto riguarda il contenuto del romanzo, invece, l’aspetto che maggiormente mi ha lasciato perplesso riguarda i rapporti interpersonali. Erikson, non so quanto volutamente, risolve questioni importanti quali l’amore, l’amicizia e la fedeltà con poche pennellate. Ne emerge una senso di superficialità, soprattutto se si tiene conto che l’amore tra uno dei protagonisti, Paran e un altro personaggio (rimango volutamente vago per non rovinarvi il libro) è alla base di moltissime scelte importanti. Le lacune maggiori riguardano proprio Paran, la cui caratterizzazione si basa molto sulla ricerca del proprio posto nel mondo e sul proprio ruolo nel rapporto con gli altri personaggi. La facilità con cui Paran si innamora, si affeziona e sceglie i propri amici appiattisce un pò il personaggio e talvolta dà la sensazione di servire da escamotage per svolte drammatiche e drammi personali. Tutto sembra un po’ casuale e sbrigativo.

Altro esempio riguarda la fedeltà dello squadrone di Whiskeyjack per il proprio comandante e il rapporto di amicizia che ne lega gli elementi: nel romanzo la fedeltà e l’amicizia si percepiscono, ma solo a livello intuitivo. Ovviamente non servono le lunghe descrizioni introspettive, come quelle che ammorbano tanti romanzi fantasy, ma in questo caso rimane tutto un po’ troppo sottointeso.

Un ultimo aspetto che stride un po’ con il livello, peraltro altissimo e ben oltre la media, del resto del libro riguarda l’esito di alcuni confronti finali. Preparati benissimo e titanici, sembra quasi che sul finire non mantengano quello che avevano promesso inizialmente. In effetti è un’osservazione un po’ criptica, ma non posso scendere maggiormente nei dettagli. Penso che ve ne accorgerete durante la lettura.

Forse nei prossimi libri questi aspetti verranno approfonditi e in tal caso i prossimi volumi varranno un bel “eccellente”.

Alla fine cosa ci rimane? Un romanzo assolutamente da prendere. Migliorabile, come lo è stato spesso un primo romanzo, ma indubbiamente di grande valore ed estremamente innovativo. Se, come ho letto, i romanzi successivi sono migliori di questo… siamo di fronte ad uno dei massimi autori della fantasy contemporanea.