Questo è il suo primo approccio all’animazione, si è rivolto ad autori esperti e spesso non è stato sul set, ha dato istruzioni lasciando che gli altri lavorassero in autonomia. Si è sentito più ‘regista’ con gli attori o con gli autori?

Il risultato finale è lo stesso. Si tratta di dare forma a tutto ciò che poi rientra in quel rettangolo, le voci, i suoni… l’obbiettivo è identico: solo il processo per arrivarci è diverso. Realizzando questo film ho avuto la sensazione di avere tutto sotto controllo, solo che poi questo ‘tutto’ accadeva molto più lentamente. Ho sì trascorso meno tempo sul set, un quarto del ‘solito’ tempo, e quindi gli animatori hanno lavorato soli, spesso ascoltando musica nelle cuffiette. Il mio è stato più un lavoro di pianificazione e monitoraggio e ha richiesto parecchio tempo. A me ne ha richiesto moltissimo perché c’erano tante cose che accadevano che, anche se tutto era molto lento e meticoloso, c’era sempre qualcosa in fase di sviluppo, di crescita. E’ stato molto emozionante. Questo è stato un ‘primo film’ per me, una cosa unica rispetto ai live action, ed è stato per il fatto di lavorare con gli animatori: c’erano tantissimi dipartimenti con cui collaboravo. Niente è come un animatore, perché un animatore diventa come un mezzo attore: non si tratta solo di dare le voci ai pupazzi e muoverli. Con il tempo ho imparato a conoscere tutti gli animatori e ognuno aveva una sua spiccata personalità, e ha lasciato una sua impronta, non limitandosi a eseguire ciò che veniva detto di fare. Gli animatori sono riusciti a far sì che questi pupazzi sembrassero veri.

Lei ha spesso descritto la famiglia nei suoi film e anche in questo caso è stato così. Cosa le interessava di questa famiglia in particolare? Quanto c’è di lei nel protagonista? Cosa è rimasto fuori rispetto al libro di Dahl?

Abbiamo utilizzato tutta la storia originale di Dahl perché era piuttosto breve come racconto e quando abbiamo scritto la sceneggiatura abbiamo voluto arricchirla aggiungendo dei personaggi. Abbiamo inserito anche un capitolo che precede la storia vera e propria che non è presente nel libro e un capitolo finale. Per quanto riguarda il personaggio di Mr. Fox, non è stato basato su di me ma sull’autore, Roald Dahl: abbiamo cercato di incorporare in questo personaggio tutto ciò che sapevamo sulla sua vita e la sua personalità. Io ho trascorso un po’ di tempo in Inghilterra, proprio nella sua casa, e ho scritto lì la sceneggiatura, cercando di metterne lui al centro. Riguardo alla famiglia, abbiamo tutti fatto riferimento alle nostre rispettive famiglie e alla nostra infanzia e forse per questo tutto si è tradotto in modo molto naturale nella storia di una famiglia. Abbiamo aggiunto un paio di particolari ma è tutto basato su Roald Dahl. 

Il film, così come il racconto, fa pensare ad altre opere. Quali sono i riferimenti cinematografici in esso presenti? Se Mr. Fox fosse un personaggio cinematografico, chi sarebbe?

Quando inizio a lavorare su un film ci sono sempre alcuni libri, film, musica, dipinti che ho avuto cura di annotare su un foglietto di carta e magari penso “Ok, questo potrebbe andare bene per ricostruire quest’altro”, ma per questo film, visto che si trattava di un adattamento di un libro, non avevo pensato a tante cose nè ad altri film di animazione. Certo, a me piacciono molto i film di Miyazaki e dello Studio Ghibli e di Takahata. Questi sicuramente sono stati un’ispirazione durante la realizzazione del film. Ho pensato molto a Watership Down, un film che ho amato molto durante la mia infanzia e forse qui ci sono dei riferimenti, ma a parte questo sono state tutta una serie di idee che ho avuto dalla vita. Per esempio quando stavamo girando mi sono recato a Bath e mi sono reso conto che il suo centro storico aveva una disposizione, un layout tale da essere perfetto per la cittadina che volevo rappresentare, quindi ho scattato delle foto e abbiamo ricostruito la città del film e questo è stato il procedimento che abbiamo seguito anche per tutto il resto, aggiungendo mano a mano le altre idee che mi venivano nel corso della lavorazione.

Lei ha un mondo estetico molto forte che torna in tutti i suoi film. La caccia alla volpe è una tipica specialità inglese su cui si sta discutendo molto. Dietro l’ambientazione rurale della pellicola c’è però qualcosa che fa pensare che la vicenda potrebbe riferirsi anche agli Stati Uniti di oggi, a un certo punto c’è un personaggio che dice “Credo che abbiamo peggiorato le cose, era meglio a restarne fuori”. Per caso è un riferimento ad altro?