Un’immensa armata composta da creature mostruose provenienti dalle Terre Desolate. Un ladro che deve recuperare l’unico oggetto magico in grado di sconfiggere una creatura nota come il Senza Nome. Una compagnia composta da un gruppo di eterogenei compagni, fra i quali spicca un’affascinante principessa elfica.

Tutto già visto prima ancora di aprire il libro, quindi? Non proprio, anche se la presenza di alcuni fra gli elementi più ricorrenti della fantasy può far guardare il romanzo di Aleksej Pechov con una certa aria di sufficienza. E invece Harold il ladro è ben più che una mera riproposizione dei cliché del genere, come dimostra anche la descrizione dell’affascinante principessa dotata – fra l’altro – di labbra nere e denti sporgenti che la rendono più simile a un orco che alle eteree creature alle quali siamo abituati. I cliché insomma possono comparire, e compaiono, a volte semplicemente per essere ribaltati.

Il romanzo è scritto in prima persona, con Harold che racconta le vicende di cui è protagonista usando un tono divertito e irriverente che gli consente di sdrammatizzare anche gli episodi più drammatici. Qualche caduta di tono si registra soprattutto all’inizio, nel corso del colloquio nel quale riceve il suo Incarico, e in un paio di altri passaggi.

Per alcune pagine il ritmo diventa troppo lento e le spiegazioni troppo didascaliche, come se l’autore stesse svolgendo il suo bravo compitino per spiegarci esattamente come funziona il suo mondo prima di tornare alla storia. Fatto questo gli eventi si susseguono con un ritmo notevole, lasciando al povero Harold ben poco tempo per tirare il fiato.

Non tutto nella costruzione dell’ambientazione scorre liscio e alcuni elementi quali il tempio dei ladri con relativi sacerdoti, descritti come se fosse la cosa più normale del mondo trovarne in ogni città, destano qualche perplessità. Se l’attività praticata dal protagonista e probabilmente da tutti i fedeli di Sagot è chiaramente illegale, non si capisce come sia possibile l’esistenza di un luogo di culto i cui visitatori e abitanti dovrebbero stare in prigione. Certo, quella dell’eroico ladro è ormai una delle tante figure ricorrenti nel genere, ma l’impressione è che qui l’autore esageri nel rendere normale e accettata da tutti la sua funzione. Salvo poi usare su di lui la minaccia della prigione, ricordandoci che in fondo rubare è un reato.

In due occasioni Pechov sceglie di narrare episodi del passato fondamentali per la trama “in presa diretta”, così come li hanno vissuti i loro protagonisti. Ma se nel primo caso la scena funziona perfettamente nel secondo sembra un po’ forzata, tanto nella modalità dello svolgimento quanto nella scelta dei personaggi coinvolti e del momento in cui questa si verifica.

Così come poco più avanti non funziona uno dei problemi affrontati dalla compagnia nel corso del suo viaggio. Nel dialogo fra la principessa Miralissa e coloro che stanno cercando di attirare lei e tutto il gruppo in una trappola c’è una grossa falla logica, ma nessuno sembra accorgersene, nemmeno dopo che il pericolo è stato superato.

Anche alcune descrizioni lasciano perplessi, come quella di un manufatto definito ripetutamente “oggetto magico” dallo stesso Harold. Il protagonista riesce a nominarlo più volte senza mai descriverlo o dire di cosa si tratti, come se lui stesso non ne avesse idea malgrado il fatto che lo porti con sé in una missione e che lo adoperi nel momento del bisogno. Leggere ripetutamente frasi quali “misi da parte l’oggetto magico” e “tirai fuori l’oggetto magico” risulta un po’ pesante, anche se forse il problema è legato alla traduzione. Va segnalato che in questo caso Fanucci ha scelto la strada più semplice ma meno rispettosa dell’opera, traducendo il romanzo dalla traduzione in inglese di Andrew Bromfield piuttosto che dall’originale russo.

Altra scelta infelice dell’editore è legata alla trama descritta nel risvolto di copertina. Parlare di una missione che inizia molto avanti nel volume e ne occupa meno di un terzo sembra sminuire un po’ l’importanza di quanto avviene prima, con il rischio di distogliere il lettore da episodi godibilissimi che si susseguono senza posa.

Nonostante queste piccole imperfezioni la storia scorre piacevolmente fino a una conclusione che in effetti non c’è. Il gruppo, partito per una missione fondamentale, supera un paio di ostacoli e poi il volume finisce. Niente di epico, drammatico o divertente, solo la fine di un capitolo come tanti e i nostri eroi, come nelle vecchie serie televisive, sono rimandati alla prossima puntata. Da leggere senza probabilmente aspettarsi un capolavoro, ma alcune ore di sano divertimento sì.