J. Tangerine, ormai sei alla seconda pubblicazione. Soddisfazioni? Parlaci del tuo rapporto con la narrativa.

Il secondo romanzo è un traguardo importante. Poi, vista la buona accoglienza del primo, Porcaccia, un vampiro!, ho cercato di dare il meglio. Quando ho iniziato a lavorare ad Apocalypse Kebab davvero non immaginavo che avrebbe richiesto una tale mole di lavoro, tra ricerche e lavoro preparatorio. E forse è stato meglio così, altrimenti forse avrei rinunciato, per quanto l'idea di partenza mi sembrasse buona. La narrativa mi ha regalato dei momenti di gioia pura, ma sempre al prezzo di una fatica non da poco.

Da cosa nasce il tuo amore per lo scrivere, e come lo hai sviluppato?

Superate le fasi astronauta e muratore, a otto anni dichiarai che da grande avrei fatto la scrittrice. Ricordo anche la trama del primo tentativo di romanzo, che non superò le tre pagine. Era una storia di guerriglia ambientata in un collegio, a metà tra Goldrake e Piccole donne. Comunque, solo intorno ai sedici anni compresi la follia suicida insita in un'aspirazione simile, e ripiegai verso più miti consigli. Però poi mi iscrissi a Lettere moderne, perché lontana dalla letteratura proprio non riuscivo a stare, e intanto continuavo a leggere molto, vizio che non ho mai perso. Ho invece ripreso in mano la metaforica penna circa otto anni fa, come reazione a un lutto. Posso dire con onestà che scrivere è una delle due cose che mi hanno salvato la vita.

Giusy de Nicolo o J. Tangerine. Come mai questo soprannome?

È uno scherzo. J. come Josephine, Tangerine richiama il nick con cui da diversi anni mi firmo in rete. E poi, non fa capire se l'autore sia uomo o donna, cosa che mi diverte parecchio. All'editore piacque e lo scegliemmo. L'alternativa sarebbe stata Tangerine Klauss, che suona come l'incrocio tra una spogliarellista inglese e un cannibale psicopatico tedesco.

Qualche autore ti ha ispirato particolarmente? Qual è il tuo mostro sacro, se esiste?

Il mio pantheon è piuttosto affollato e variegato. Tra i miei autori preferiti ci sono Kafka, Lansdale, King, Vargas, Verga e Martin.

Domanda imbarazzante: e nel panorama del fantastico italiano attuale, chi ti piace particolarmente? Chi sono i più bravi?

Malizioso! I primi che mi vengono in mente sono Claudio Vergnani e il Tullio Avoledo dei primissimi romanzi, quelli ucronici. Ora è diventato più serio, ma lo preferivo quando era un geniale cazzaro, anche nello stile. Vergnani è grandioso nel trasferirti le sensazioni fisiche dei personaggi.

Come si arriva dalla voglia di scrivere alla pubblicazione? Quali sono state le tue esperienze con il mondo editoriale?

Per la mia esperienza, alla pubblicazione si arriva con molta pazienza e numerose code alla Posta per spedire il manoscritto. Ho affrontato il tutto con incoscienza e disinformazione, cosa che mi ha fatto sbattere il naso contro una manciata di editori a pagamento. Ricordo il senso di indicibile felicità quando per la prima volta venni contattata, e ascoltai le parole di lode sperticata al mio meraviglioso lavoro, ma c'era quel piccolo particolare del contributo… Mi sentii sprofondare. Fu una mazzata in mezzo agli occhi. Solo dopo incontrai la Mamma Editori. Se avessi saputo prima di certi meccanismi avrei perso meno tempo.

Se un esordiente ti domandasse cosa bisogna fare per migliorare le proprie possibilità di arrivare alle librerie, cosa consiglieresti?

Nel momento della prima stesura, a ogni scrittore è indispensabile il delirio di onnipotenza. Bisogna sentire di avere tra le mani la storia più bella mai raccontata, altrimenti nessuna persona sana di mente si sottoporrebbe alla fatica a scatola chiusa che la scrittura richiede. Ma giunti all'editing si deve tornare umili e ascoltare, perché siamo troppo innamorati del nostro lavoro per vederne i difetti. Un buon editor è sempre spietato. O almeno, la mia è cattivissima.

E adesso? Cosa hai in programma per il futuro?

Terminare SweetDreams, una sorta di feuilleton vampirico fumettoso che sto pubblicando sul mio blog come piccolo regalo per i lettori. Intanto, mi sto trastullando con un paio di idee. La voglia di metter mano a qualcosa di nuovo sta crescendo, ma ancora non c'è nulla di organizzato.