Nella Città, di cui la Grande Scossa ha dilaniato la storia scritta nei palazzi, nei monumenti, nel fluire del quotidiano, la nascita di una nuova vita sta per verificarsi. Forse è l'inizio di una resurrezione, che è soprattutto spirituale.

Lo spirito umano è annichilito, nella Città e nel Paese in cui essa sorgeva. L'Accentratore, autocrate che attraverso una propaganda martellante e amplificata dai media impone l'immane e cancerosa estroflessione del suo ego, schiaccia ogni dissenso alla radice: annullando, cioè, ogni forma di capacità critica.

Ma la desolante solitudine dell'individuo domina anche i rapporti familiari, in un rimando continuo tra il macrocosmo e il microcosmo: ognuno chiuso nei propri sensi di colpa, ognuno determinato a imporre e a condizionare l'altro, pressato dalle proprie paure e nevrosi, i parenti più stretti di Hamlet Bank e di Madame Kaos, genitori del nascituro, si incontrano nuovamente per assistere all'evento, malcelando le ipocrisie, le rabbie, i conflitti che li dividono. Che, da loro stessi incompresi o mai affrontati con pienezza di sé, dividono soprattutto ciascuno di loro, all'interno.

La trama, ridotta a un'ossatura e del tutto lineare, è un pretesto. La complessità del romanzo è in altro, e quest'ultimo si configura complessivamente come una grande allegoria. Questo l'intento letterario di Enrico Macioci, classe 1975, una laurea in Giurisprudenza e una in Lettere Moderne, aquilano: è dunque evidente una forte impronta autobiografica anche in questa sua seconda pubblicazione dopo la raccolta di racconti Terremoto, edita nel 2010 da Terre di Mezzo.

Ogni capitolo de La Dissoluzione Familiare, come in una rappresentazione drammatica, porta in scena una riflessione molto spesso amara ma non priva di speranza, e agìta dai numerosi personaggi dell'opera, sui molteplici temi trattati nel romanzo.

Il senso e il significato della famiglia, la sua dissoluzione e la sua possibile ricomposizione sotto altre e più libere coordinate relazionali (morte e rinascita, come per la Città).

L'annullamento dell'individuo, ridotto a un automa che valuta il mondo in base alla logica dell'utile, del superficiale, dell'apparenza. Un individuo la cui anima è stata annullata dal cinico sguardo nichilista della politica e dei media, e che non ha più speranza, almeno apparentemente, di schiudersi alle emozioni, alla libera scelta, alle leggi non scritte che governano lo spirito.

Si può leggere, questo romanzo, anche come una forte satira politico-sociale, nonostante non ci sia nessun riferimento esplicito al mondo in cui viviamo. Si tratta di un mondo grottesco, una deformazione (non troppo improbabile per alcuni versi, tuttavia) della realtà di cui facciamo parte e in cui, se ci si riflette, una certa dose di annullamento dell'io è già in atto, alimentato dalla diffusa tendenza al non ascolto del proprio io interiore e dal condizionamento subìto con passività dai media e dal consumismo di massa.

In questo suo ampio affresco, Macioci adotta un registro stilistico capace di passare dal sublime al volgare, dal lirico all'infimo, e ponendolo a volte in voluta contrapposizione con il contenuto che tratta. L'ambientazione, le situazioni, i dialoghi, i personaggi, sono tutti delineati con un tratto surrealista, a tratti folle, gargantuesco, ma anche umoristico. L'intricato labirinto dell'Ospedale della Sacra Frattura, dove gran parte della commedia umana si concentra e dove il protagonista si imbatte in personaggi che sembrano dannati giunti dall'Inferno dantesco; i boschi, popolati di buffi ma scaltri animali parlanti, dove Sylvanus, macchiato di gravi colpe familiari, viene esiliato, espiando le sue azioni e divenendo una sorta di fauno, un'entità in perfetta armonia con la natura eppure cosciente dei drammi del mondo e capace di sublimi slanci lirici; la cupa, lercia sacrestia dove dimora Don Sisma, una sorta di oscuro, gigantesco agente dell'imperscrutabile volontà divina; sullo sfondo, la Città è il fantasma di un passato che induce alla malinconia e ai ricordi.

Influenzato dalla narrativa postmoderna di David Foster Wallace, uno dei più acuti scrittori di rottura del nostro tempo, l'autore accompagna il corpo del testo principale a una lunga sequenza di note che racchiudono racconti dentro al racconto, in una sorta di metanarrazione che lo amplia, ci ironizza sopra, dissacrando la presunta serietà del testo e dell'autore stesso: le surrealiste illustrazioni in bianco e nero di Maurizio Rosenzweig, poi, coadiuvano efficacemente i toni del romanzo, rendendone appieno le deliranti visioni, tra sogno e incubo.

Ma l'intento letterario di Macioci non è perfettamente riuscito. Ne sono principalmente causa, a giudizio di chi scrive, un'eccessiva indulgenza nei confronti della sua abilità lessicale e descrittiva, che lo porta ad adottare una prosa in diverse occasioni ridondante, anche se impreziosita da immagini e metafore di raro lirismo: la padronanza tecnica dell'autore sarebbe comunque emersa in un registro stilistico più asciutto e in dialoghi che meglio variassero nel ritmo e nel lessico, adattandosi meglio alle caratteristiche dei singoli personaggi. Certamente non aiuta, rischia anzi di annoiare il lettore, la quasi assenza di snodi in una trama che, come sopra si accennava, è assolutamente lineare e che lascia la scena principale alle situazioni e ai dialoghi, oltre che a capitoli d'interludio che sembrano voler maggiormente definire elementi dell'ambientazione (pur essendo quest'ultima ben resa nei capitoli più attinenti alla vicenda).

Il costo del volume non è certamente trascurabile, ma è coraggiosa e degna di lode l'iniziativa dell'editore nel pubblicare un romanzo assai intelligente, profondo, certamente non di facile assimilazione ma denso di significato. E di farlo in un'edizione pregevole dal punto di vista editoriale, soprattutto nell'aspetto grafico.