Similmente si è mosso il caro Tolkien, di cui Adelphi ha pubblicato per prima in Italia, nel 1973, quello squisito capolavoro che è Lo hobbit (1937), modello imprescindibile di tutta la fantasy moderna. Assieme al Silmarillion e al Signore degli Anelli – e a tutti i racconti compiuti, incompiuti, perduti e ritrovati che ruotano attorno ad essi – il romanzo forma un vero e proprio ciclo mitologico, che narra la storia di Arda dalla sua divina creazione, alla Guerra dell’Anello. L’immensa cultura di Tolkien in materia mitologica e letteraria, gli ha permesso di creare un mondo immaginario che non ha pari in epoca moderna: lo ha popolato, ne ha descritto tradizioni, usi e costumi, ne ha inventato le lingue, ha redatto annali, complesse genealogie e mappe dettagliate. A differenza di altri cicli contemporanei, dove si avverte l’artificialità e, per così dire, la giovinezza dell’universo fantastico in cui si entra, leggendo Lo hobbit si ha l’impressione che la Contea, Bosco Atro, le Montagne Nebbiose e le creature che vi abitano, esistano da sempre e là continueranno a vivere anche quando avremo smesso di leggere.

Il più grande uomo scimmia del Pleistocene di Roy Lewis è un romanzo fantastico-satirico sull’evoluzionismo, a detta di Terry Pratchett, “uno dei più divertenti degli ultimi cinquecentomila anni”. È la tragicomica storia di Edward, ominide dalla straordinaria inventiva: scopre come procurarsi il fuoco, insiste perché i membri del suo clan camminino in posizione eretta, inventa nuove armi per cacciare, cuoce il cibo per renderlo più digeribile e obbliga i figli a sposare donne che appartengono a un altro clan. Le intuizioni di Edward sono buone, ma a volte gli sfuggono di mano, come quando incendia accidentalmente l’accampamento del suo clan, che, stanco delle sue manie evolutive e restio a condividere le invenzioni con gli altri ominidi, decide di eliminarlo usando la sua creazione più micidiale: l’arco.

La nostra collezione si chiude con un testo in un certo modo simile a quello con cui siamo partiti: Il libro degli esseri immaginari, bestiario transmitologico compilato da Jorge Luis Borges e Margarita Guerrero. La prima edizione uscì nel 1957 col titolo Manual de zoología fantastica – edita in Italia da Einaudi – e venne poi integrata con trentaquattro nuove voci nel 1968 e rititolata El libro de los seres imaginários. Vi si trovano le descrizioni, originali o in forma di citazione, di esseri fantastici presi dalla più svariate fonti – classiche, medievali e moderne. Alcuni sono molto noti: il basilisco, il centauro, il drago, la Chimera, Eloi e Morlock, la Fenice, l’ippogrifo, il kraken. Altri meno, come il mirmicoleone o la Scimmia dell’Inchiostro – in Italia ha fatto qualcosa di simile Ermanno Cavazzoni con la sua Guida agli animali fantastici (Guanda, 2011). Tra le creature riportate da Borges, ne figurano anche due appartenenti alla fauna della Trilogia dello spazio di C.S. Lewis, citata poco sopra, che lo scrittore s’era fatto leggere dalla madre nel 1938 mentre era costretto a letto a causa del peggioramento della sua cecità – che diventerà totale nel ’55 – e che lo spinse a diventare scrittore fantastico.

Buona lettura.

[1] Roberto Calasso, “Così inventammo i libri unici”, la Repubblica, 27 dicembre 2006, p. 56.

[2] I testi presentati sono una selezione di chi scrive. Si rimanda pertanto al catalogo Adelphi per una visione completa dell’argomento.