Bond, James Bond è tornato. Per la quarta (e ultima?) volta interpretato da Daniel Craig, attore osteggiato da molti fan prima ancora di essere visto all'opera e poi acclamato da loro e dal grande pubblico come uno dei migliori di sempre, un degno erede degli amati Sean Connery, Roger Moore e Pierce Brosnan.

In Spectre, gli elementi distintivi del canone ci sono tutti. Bond spara verso l'iride e stavolta la transizione ci porta verso un piano sequenza che fa da preludio a una scena d'azione mozzafiato che vede Bond a Città del Messico, all'inseguimento di un attentatore. Come ben sappiamo se sei nel mirino di Bond sei un uomo morto. Tra inseguimenti e esplosioni l'incipit ci porta alla canzone dei titoli di testa, Writing's on the Wall, cantata da Sam Smith.

Anche il resto del film è in gran parte canonico. Bond è sulle tracce dell'organizzazione che gli ha messo i bastoni tra le ruote nei tre film precedenti, la Spectre del titolo. Anche i muri sanno che il capo della Spectre è interpretato da Christoph Waltz. Questa volta però Bond avrà un nemico in più, l'ottuso burocrate Denbigh (Andrew Scott), che vorrebbe ristrutturare l'MI6, depauperando M (Ralph Fiennes) delle sue prerogative, mettendo in dubbio la stessa utilità della sezione Doppio Zero. Da solo Bond viaggerà all'inseguimento del suo nemico tra Italia, Austria e Marocco, contando sull'appoggio dei fidi Q (Ben Whishaw), Bill Tanner (Rory Kinnear) e Moneypenny (Naomie Harris). Alla miscela non mancheranno un paio di belle donne da sedurre. Ma se con Lucia Sciarra (Monica Bellucci) è faccenda di poche ore (5 minuti nel film, più o meno), più intenso sarà il rapporto che s'instaurerà con Madeleine Swann (Léa Seydoux). 

All’equazione non manca il killer letale, forte, grosso e silenzioso quanto una montagna, Mr. Hinx (Dave Bautista).

I 148 minuti di Spectre scorrono così, tra vodka martini agitati e non mescolati, sparatorie, inseguimenti di ogni tipo, senza dimenticare i monologhi del cattivo, così impegnato a autocompiacersi del suo “grande piano”, da dare tutto il tempo a Bond di preparare la sua via di fuga.

La linea tra l’aderenza al canone e l’abuso di stereotipi è sottile e stavolta, a differenza della prova precedente di Sam Mendes, l’ottimo Skyfall, viene oltrepassata troppo spesso. 

Complice in questo una sceneggiatura non perfetta, con falle logiche evidenti sin dall’inizio, con dialoghi che hanno ben pochi momenti d’eccellenza.

Uno dei momenti migliori del film, e credo dell'intera saga, per esempio è il quello in cui M restituisce il nuovo e più moderno senso del concetto di “licenza di uccidere”, visto come la capacità dell’essere umano di discernere più che altro quando sia il caso di considerarla una “licenza di non uccidere”, esercitando un libero arbitrio che un drone o un missile lanciato a distanza per esempio non possono avere.

Anche lo stesso ruolo di M in questa vicenda è ben più ampio di quanto non fosse nel canone tradizionale. Ma in questo ci eravamo bene abituati con l'eccezionale Judi Dench. Fiennes continua sul suo solco.

Poche intuizioni felici in un film che non riesce a entrare tra le pietre miliari del ciclo, pur presentando un cattivo dalle potenzialità carismatiche, ma non del tutto espresse e un attore che riesce a essere più che credibile nel restituire un Bond sofferto e stanco, desideroso di chiudere i fili pendenti del suo passato per voltare pagina.

Per i fan è comunque un film da non perdere, da collocare poco oltre la metà di una ideale classifica di qualità dei bond movies; per il grande pubblico è comunque una piacevole occasione di divertimento.