Questa edizione Gold di Lucca Comics and Games 2016 si è degnamente conclusa grazie a un incontro dall’evocativo titolo di I Maghi del Fantasy.

Per un'ora, infatti, quattro importanti nomi del panorama fantastico internazionale hanno dato vita a un vero e proprio salotto letterario, a cui ogni lettore vorrebbe assistere, nella bella cornice del Teatro del Giglio, moderati da Pierdomenico Baccalario.

Il primo a salire sul palco è Brandon Sanderson, prolifico autore, tra gli altri, di Mistborn, delle Cronache della Folgoluce e dei recenti Calamity e Il Ritmatista, tutti editi da Fanucci. Segue Steven Erikson, il cui Libro Malazan dei Caduti, in dieci volumi, è stato recentemente ripubblicato e concluso da Armenia. Philip Reeve è accompagnato dalla notizia che il suo Macchine Mortali, edito in Italia da Mondadori, sarà trasposto in film da Peter Jackson in persona, in qualità di produttore e co-sceneggiatore. Il quarto a essere annunciato è Joshua Kahn, autore di Shadow Magic, primo volume di una trilogia edita in Italia da DeAgostini. Infine, come ospite d’onore, chiamato per ultimo e invitato a sedere al centro del palcoscenico, fa la sua comparsa Terry Brooks, autore della saga di Shannara.

La Magia

Coerentemente con il titolo dell’incontro, la domanda inaugurale che il moderatore, Pierdomenico Baccalario, rivolge ai cinque ospiti riguarda proprio la magia. 

Il primo a dover rispondere è Brandon Sanderson, autore noto per la complessità e la diversità dei sistemi magici presentati nelle sue numerose opere. Sanderson osserva che la magia è, nel genere fantasy, legata al sense of wonder, a suo parere uno degli elementi fondamentali della narrativa fantastica: essa permette infatti di entrare in luoghi sconosciuti e deve essere trattata come una scoperta, che deve avvenire quasi per caso, un passo per volta, come se si trattasse di una scoperta scientifica. La magia è meravigliosa, ma può anche essere spaventosa: abilità dell’autore deve dunque essere bilanciare l’esplorazione di questo campo e il desiderio di comprenderlo da parte del lettore. 

La risposta di Steven Erikson è in parte simile e in parte molto diversa da quella di Sanderson: in qualità di antropologo, oltre che di scrittore, Erikson osserva che la magia è una delle modalità attraverso cui l’uomo cerca di comprendere e spiegare l’inspiegabile. Il mistero è al centro della magia: spiegare troppo, o addirittura tutto, toglierebbe mistero, ragione per cui, in Malazan, il sistema magico non è del tutto alla portata del lettore.

Il terzo a intervenire è Terry Brooks, che smorza la tensione delle due risposte, molto serie, date da Sanderson ed Erikson, con una battuta che suscita l’applauso dell’intera platea: magia è, per Brooks, avere così tanti lettori delle sue opere.

Philip Reeve, nel riprendere le risposte degli ospiti che hanno già parlato, in particolare relativamente al sense of wonder, osserva che il suo intervento sulla questione può essere solo marginale, considerato che il suo ambito è la science fantasy, in quanto i suoi libri sono concentrati su elementi più futuristici che magici.

A un emozionato Joshua Kahn spetta l’onere di intervenire per ultimo, ma riesce a fornire comunque il suo contributo, sottolineando che la magia ha la capacità di trasformare il mondo attorno a noi e può rappresentare un modo come un altro per trasmettere una forma di conoscenza a bambini e young adult, che sono i target delle sue opere.

I Maghi

La seconda domanda per i cinque ospiti riguarda non più la magia ma i suoi creatori: esistono ancora i Maghi ai nostri giorni?

Brandon Sanderson, che ancora una volta ha diritto a parlare per primo, interpreta la domanda in maniera molto particolare: i maghi e gli stregoni sono gli autori di fantasy (cita Anne McCaffrey e il suo ciclo dei Draghi di Pern e lo stesso Terry Brooks) che lo hanno trasformato da un quattordicenne che detestava leggere allo scrittore che è diventato. 

Steven Erikson, secondo la sua abitudine, interpreta la domanda da un punto di vista più accademico: nel porre la domanda, Baccalario aveva ipotizzato che gli scienziati possano in qualche modo essere considerati i maghi del nostro tempo. Erikson rifiuta questa posizione, sottolineando come, a livello antropologico, scienza e magia rispondono a esigenze diverse. Per riprendere la risposta di Sanderson, Erikson osserva l’importanza sociale della figura dello scrittore, che, attraverso le sue opere, invita il pubblico all’empatia: vivere altre vite diventa, nelle sue parole, un esercizio di compassione.

Ma ancora una volta, è l’intervento di Terry Brooks a spezzare la tensione, con un livello di comicità sapientemente dosato: chiunque siano i maghi, sicuramente non sono i politici. Se proprio si vuole cercarli, prosegue, basta guardare sul palcoscenico: ce ne sono quattro, proprio accanto a lui. 

Reeve e Kahn non hanno molto da aggiungere: la risposta di Sanderson ha, sostanzialmente, indirizzato tutto il discorso in una direzione. Reeve concorda con Erikson, sulla differenza sostanziale tra scienza e magia, indicando proprio nell’arte la magia dei nostri tempi.

Riti magici e incantesimi a uso e consumo degli scrittori

La risposta alla terza domanda, legata a riti magici o oggetti che i cinque ospiti hanno o vorrebbero avere, è dominata dallo scambio di battute tra Terry Brooks e Brandon Sanderson. Joshua Kahn, che finalmente può avere l’onore di parlare per primo, anticipa quello che sarà il tenore degli interventi successivi: gli servirebbe qualcosa per far uscire dalla sua testa tutte le idee che la affollano, per dare forma definita alle sue storie. Reeve, più realisticamente, osserva che a un autore bastano penna e immaginazione (ma, come nota Brooks, è il computer il vero talismano dello scrittore). Erikson vorrebbe clonare se stesso in almeno tre copie, per poter affrontare tutte le storie che vuole ancora raccontare. 

Ma è Terry Brooks a dare fuoco alle polveri, nel chiedere di poter controllare la mente di Sanderson (notoriamente autore molto prolifico e rapido) per scrivere i suoi racconti e godersi, finalmente, una meritata pensione. La platea scroscia in un applauso condito da risate divertite, per poi esplodere nuovamente quando prende la parola lo stesso Sanderson. La domanda, osserva l’autore del Cosmoverso, è ingannevole: la storia di qualcuno che scopre un talismano è stata scritta molte volte e, di solito, non finisce bene per chi ha fatto la scoperta. La vera domanda, quindi, è capire chi scriverà questa storia: se si trattasse di Terry Brooks, ci sarebbe probabilmente una lunga ricerca, al termine della quale, però, si potrebbe sperare in un lieto fine. Ma se a scriverla fosse Steven Erikson, Sanderson stesso non toccherebbe neppure l’oggetto magico e scapperebbe il più lontano possibile. Perfino Erikson perde qui la sua abituale serietà. La platea è letteralmente trascinata da questo divertente intervento.

Ma la magia è bene o è male?

L’ultima domanda riporta la serietà tra gli spettatori e gli ospiti: non è qualcosa che si possa prendere alla leggera, come le precedenti. La domanda riguarda la magia e la sua natura, benigna, maligna, o dipendente dalle caratteristiche di chi la usa. Joshua Kahn, che nel suo Shadow Magic ha fatto di questo argomento il nucleo di una profonda riflessione sulla nozione di ignoto, osserva che la magia non è né bene né male: è solo qualcosa di sconosciuto che, come tale, spaventa chi non la conosce. Anche Philip Reeve procede nella stessa direzione: il potere può distruggere, ma può anche salvare.

Terry Brooks osserva come per lui la magia sia l’altro lato della medaglia rispetto alla scienza, per la sua imprevedibilità: a differenza della scienza, può prendere una strada diversa da quella che si suppone. La persona che ha il potere ha comunque sempre una possibilità di scelta, nella convinzione che la magia ha un prezzo (un elemento che, in effetti, ricorre di frequente nei vari volumi della saga di Shannara).

Steven Erikson, che ha creato il sistema magico di Malazan in collaborazione con Ian Esselmont, ha utilizzato le sue conoscenze antropologiche anche in questo campo. La sua risposta è incentrata sugli effetti culturali e sociali delle diverse concezioni di magia, che lo hanno portato a scegliere per un potere che possa essere accessibile a chiunque all’interno di una società.

Infine, Brandon Sanderson chiude osservando che l’epic fantasy, categoria in cui include la maggior parte dei suoi romanzi, è dominato fin da Tolkien da una domanda: cosa accadrebbe a un uomo se avesse in mano il potere di un dio? Il modo in cui la persona in questione reagisce al cambiamento, a cui può essere più o meno pronto, influisce sullo sviluppo di ogni storia.

Con l’ultima domanda, l’incontro si esaurisce, lasciando però nello spettatore la sensazione di aver assistito, e di essere sopravvissuto, a un incontro, più che a uno scontro, tra veri Titani.