Sono passate decine di anni dagli eventi di Wonder Woman, primo avventura di Diana Prince (Gal Gadot) al di fuori dell'isola delle amazzoni. Diana lavora per il museo Smithsonian e mantiene un basso profilo, intervenendo in veste super-eroistica al bisogno. Stringe amicizia con una collega, Barbara Minerva (Kristen Wiig), ma rifiuta altri contatti umani e, soprattutto, approcci da parte dell'altro sesso, struggendosi nel ricordo del capitano Steve Trevor (Chris Pine).

L'arrivo al museo di un misterioso manufatto dotato di grandi poteri suscita la cupidigia dell'affarista Max Lord (Pedro Pascal) e darà inizio a un'avventura che porterà l'amazzone a lottare per la salvezza del mondo.

Gal Gadot in Wonder Woman 1984
Gal Gadot in Wonder Woman 1984

La trama di Wonder Woman 1984 va poco oltre la sintesi. C'è un cattivo con un piano, spalleggiato da un'altra cattiva, e l'eroina dovrà usare tutti i suoi poteri e il suo alleato per vincere, memore degli insegnamenti ricevuti sin da bambina.

Seppure emozionante, è veramente poco per riempire oltre due ore e mezza. La sceneggiatura non approfitta della lunghezza per costruire un intreccio complesso o approfondire i personaggi, bensì per dilatare ed espandere all'inverosimile le scene d'azione, fiaccando la resistenza anche dello spettatore più motivato.

Gal Gadot in Wonder Woman 1984
Gal Gadot in Wonder Woman 1984

L'ìncipit emoziona. Non so spiegare perché, ma almeno fino alla prima apparizione di Diana/Wonder Woman il ritmo regge e incuriosisce. In realtà forse tutto il primo atto funziona. Ma quando è il momento di andare oltre, di approfondire per quanto sia possibile in un'opera di intrattenimento, tutto rimane schiacciato nella prospettiva del "giro sulle giostre", che può essere pure piacevole se dura poco, ma che non ha il respiro di un film.

Non salva il film il carisma dell'interprete principale. Sprecatissima appare la pur brava Kristen Wiig, così come Pedro Pascal, la cui scrittura del ruolo non gli consente di dividere a pari merito lo schermo con la protagonista.

Alla fine il vero problema è la sceneggiatura: senza senso del ritmo, senza punti di svolta che emozionino, senza dialoghi che non suonino stereotipati, senza un senso di cosa voglia dire il film.

Nonostante i suoi limiti, il primo film diretto dalla stessa Patty Jenkins aveva fatto ben sperare, ma questo seguito lascia in bocca il sapore delle occasioni perdute.