Phoenix è una ragazzina adolescente scampata da piccola a un devastante incendio, che vive con Norman Nordstrom il padre cieco in una casa un po’ isolata. Sogna una vita normale insieme agli altri coetanei ma il genitore la costringe a studiare in casa, oltre a sottoporla a sessioni di allenamento per autodifesa. Un giorno ottiene il permesso di recarsi in città ma lì viene importunata da un uomo che sembra avere un particolare interesse verso di lei. La stessa notte infatti, un commando di malviventi raggiunge la casa di padre e figlia, decisi a tutto pur di rapire la giovane, senza sapere però che Norman è in realtà un reduce della guerra del Golfo dove ha imparato a essere un killer spietato.

Dopo aver girato il deludente e inutile remake de La casa, Fede Alvarez nel 2016 riuscì a mettere a segno un buon colpo con L'uomo nel buio – Man In The Dark  (titolo originale Don't Breathe, ossia Non respirare), un thriller di serie B a basso budget ma con una buona sceneggiatura, capace d’incassare bene e di piacere anche alla critica. L’idea era quella di prendere un paio di ragazzi con il bisogno di fare soldi per scappare da una vita misera e fargli finire a svaligiare la casa sbagliata, quella di Norman Nordstrom, una sorta di rambo cieco e psicopatico, capace di qualsiasi cosa pur di difendere la propria abitazione.

In questo secondo capitolo sceneggiato sempre da Álvarez e Rodo Sayagues, il problema è quello di riprendere il vecchio personaggio di Norman ma farlo diventare buono. Infatti il reduce questa volta si trova a difendere la bambina che ha con se, dimostrando un’empatia che decisamente mancava nella prima pellicola. Giustamente il focus non si accende mai sul perché di un volta faccia così radicale nel personaggio che, essendo piaciuto al pubblico è stato ripescato, limitandosi nella sua motivazione a una sorta di bisogno di redenzione generico per tutto il male fatto. Come John Wick insegna basta spostare l’asticella della cattiveria in una scala in cui Norman è sì un violentatore e killer psicopatico ma piange quando gli ammazzano il cane, ed alzarla fino al cattivo a cui non importa neppure di bruciare vivo il proprio animale. A nessuno comprensibilmente interessa la nuova etica del protagonista ma piuttosto dell’azione, ben gestita da Álvarez sia nella prima parte home invasion come nel film precedente, che nella seconda, dove un hotel dismesso diventa una splendida location per gli assalti di Nordstrom.

L'uomo nel buio – Man In The Dark non presenta particolari colpi di scena, i twist narrativi si prende davvero poco sul serio, ma sta anche in questo l’abilità del regista che si affida a una messa in scena mai banale, con un ottimo piano sequenza, una giusta fotografia e l’uso del corpo di Stephen Lang, classe 1952, fatto di muscoli scattanti lontani dalla cartoonesca ipertrofia di Stallone o Schwarzenegger. Si tratta di un buon thriller sicuramente meno riuscito del primo capitolo, ma con cui si riesce a passare un paio d’ore divertenti.