Vampiri e licantropi sono nemici mortali in una guerra segreta condotta ormai da secoli. Il conflitto verrà reso ancora più incerto dall’intrusione di una variabile impazzita, un umano il cui sangue può accogliere entrambe le maledizioni per generare una nuova razza ibrida. Selene, una cacciatrice vampira, scoprirà l’esistenza di un nutrito gruppo di licantropi e del loro piano nei confronti dei vampiri. Presto dovrà decidere fra la salvezza della sua stessa razza e l’amore per l’umano prescelto.

C’era un tempo in cui molti film di genere, in questo caso horror, riuscivano a reggere il paragone con le “normali” opere mainstream. Questo avveniva per la ricchezza dei sottotesti, la ricerca estetica e poetica degli autori e per un certo coraggio dei produttori. Non è grazie a pellicole come questa che potremo ridare dignità a questo setttore.

La formula dietro ad un simile prodotto è evidente: prendiamo alcuni elementi da recenti successi al botteghino (Blade, Matrix, Il Corvo...) e misceliamoli in una sceneggiatura banale con dialoghi al limite dell’umano, cerchiamo di scritturare la belloccia di turno, fasciamola in pelle e cuoio per soddisfare il feticismo all’acqua di rose del pubblico e il gioco è fatto.

Quel che ne esce fuori, purtroppo, assomiglia molto più a un nuovo gioco per la Playstation 2 che a un film vero e proprio. Questo a causa dell’imperizia del regista, che non è capace né di girare sequenze d’azione degne di tale nome (lo standard delle scene di combattimento, settato da registi come Ang Lee, Quentin Tarantino o i fratelli Wachowski, è ormai terribilmente alto) né di spaventare gli spettatori con qualche sano brivido.

Ma le carenze dell’intera opera sono evidenti fin dalla concezione: siamo davvero stanchi di vedere enclavi di vampiri che sembrano uscite da un incubo liberty-nazista, possibile che questa sia l’unica estetica utilizzabile? E che dire della fotografia fra toni dark e metallici ormai mandata a memoria in almeno un centinaio di pellicole degli ultimi anni? E dei personaggi che escono dalle battaglie freschi come modelli di Armani prima della sfilata? E della terribile storia d’amore fra una vampira scaltra, smaliziata e un umano/licantropo, osteggiata dalla famiglia di lei? Vi ricorda forse un’opera teatrale inglese di qualche secolo fa su Capuleti e Montecchi? Anche a me.

L’elenco potrebbe andare avanti all’infinito: non c’è una singola battuta di dialogo che possa sembrare brillante o memorabile, non una sola inquadratura non telecomandata e imposta dal gusto imperante del momento, non un grammo di inventiva nel montaggio (consigliamo a tale Martin Hunter di andare a vedersi 21 grammi per una lezione su come si possa costruire un film esclusivamente in fase di montaggio), non un personaggio con un minimo di personalità o che ci rimanga nel cuore a fine visione.

In tutto questo Underworld è davvero fallimentare: ci sediamo in sala accettando il fatto che vedremo un film privo di grandi messaggi filosofici ma vorremmo almeno assistere a due ore di intrattenimento mentre si soffocano a stento gli sbadigli, fra tizi vestiti di cuoio che saltano in giro e improbabili lupachiotti in metropolitana.

Nota di demerito conclusiva per la compagnia di Tatopoulos: il morphing dei licantropi procede a scatti e con l’aiuto di una fotografia ruffiana, inoltre i movimenti delle bestie non sembrano il massimo tenendo conto che sono realizzati dalle stesse persone che avevano lavorato in titoli quali Indipendence Day, Godzilla o Stuart Little.