Nei primi anni del XVII sec, il Nord America è ancora una terra vasta e sconfinata, totalmente selvaggia, in cui abitano diverse culture tribali in lotta fra loro, ma in totale armonia con il proprio ambiente. In questo scenario arrivano tre navi inglesi con a bordo l'avventuriero e ribelle John Smith (Colin Farrell).

La speranza è quella di installarsi nel "Nuovo Mondo".

L'iniziale Eden si rivela ben presto un paese selvaggio nel quale i colonizzatori stentano ad ambientarsi. La situazione precipita e John Smith viene scelto per raggiungere il potente re delle tribù locali e aprire un commercio fondamentale per la sussistenza della nuova colonia di Jamestown.

Nella foresta vergine Smith troverà la principessa indiana Pocahontas. Questa è la sua storia.

Sono andato all'anteprima di The New World con due amici convinti per l'occasione ad abbandonare una blockbuster night, per dare un'occhiata a quello che dovrebbe essere l'evento cinematografico di inizio 2006.

Dopo due ore e trenta minuti di film, col capo cosparso di cenere, ho offerto loro un panino nella speranza che prima o poi mi rivolgano ancora la parola.

Il nuovo film di Terrence Malick riprende stilisticamente da dove si era

fermato il suo precedente lavoro, La sottile linea Rossa, purtroppo peggiorando di minuto in minuto. Preparatevi a un infinito susseguirsi di primi piani, monologhi silenziosi e voli di uccelli, tutti terribilmente lenti, non avrete molto di più.

Partiamo da ciò che di buono c'è: la fotografia di Emmanuel Lubezki. Le pretese da kolossal si intuiscono solo nei piani larghi che ci riportano nel paradiso terrestre che deve essere stata l'America del XVII secolo. I colori hanno la vivacità di Hero, ma con una lieve nota sfumata che trasmette serenità, senza aggredire. La nostalgia per qualcosa che non è più vi coglierà in fretta.

Foreste vergini, fiumi e prati erbosi sono senza dubbio la nota positiva

del film.

Esaurito il breve compito di cantar le lodi di questo lungometraggio, passiamo al motivo per cui il film rischierà di risultare insopportabile a molti.

Il ritmo differisce da regista a regista. C'è chi ama il frenetico susseguirsi

degli eventi e chi invece ama comunicare nella fissità dell'attimo infinito.

Alla seconda categoria appartiene, indipendentemente dai gusti personali, Stanley Kubrick ed è purtroppo convinto di farne parte anche Terrence Malick.

Non illudetevi, tra i due c'è un abisso. Vi renderete conto che ogni singola sequenza o piano montato in The New World sarà lungo due o tre volte oltre la soglia di sopportazione. Sbufferete e vi guarderete attorno, incontrando sguardi perplessi come il vostro. Datevi pace il film è esattamente così dall'inizio alla fine.

Non sono necessariamente contrario ai virtuosismi estetici, ma ho trovato insopportabile il narcisismo del quale il regista ha permeato il film. Gli interminabili primi piani tra amanti fanno da contorno al gioco del corteggiamento tra Smith e Pocahontas che nel immaginario dello spettatore dovrebbe ricordare il rito del corteggiamento in un selvatico mondo animale.

Non so a che genere appartenga questa pellicola. Non è certo un film storico, perché tranne alcune banalità non trasmette nulla del periodo del quale vorrebbe trattare. Probabilmente siamo di fronte a una storia d'amore, purtroppo banale e più vicina agli standard della soap che a quelli del grande schermo. Una trama semplice, viene appesantita dalla struttura a blocchi scelta dal regista.

La sensazione è che manchi il filo conduttore e che ci si trascini lentamente alla ricerca dell'immagine cinematografica perfetta, come una pacchiana confezione regalo con nulla dentro.

Pocahontas è una bellissima lolita che farà battere i cuori di molti, soprattutto quando si aggirerà per la foresta in autoreggenti di pelo e stola di pelliccia tipo Dior. Purtroppo l'interpretazione della debuttante Q'Orianka Kilcher è affondata da un doppiaggio imbarazzante più adatto a Shaolin Soccer e Kung Fusion che a uno dei fiori all'occhiello della Eagle.

Non che si possano fare miracoli con i piatti e insignificanti dialoghi che

ci tocca sorbire fino alla fine. Tenete a mente questa battuta della povera principessa indiana: "Ma perché il mondo è a colori", strabuzzerete gli occhi dallo stupore, poi i meno pazienti se ne andranno indignati.

Tutto sommato a confronto di Pocahontas, Smith ne esce come un personaggio credibile. Il turbamento di Farrell di fronte a scelte non facili, per quanto ripetitivo, è realistico, se non proprio condivisibile.

A fronte della lentezza delle riflessioni, l'azione scivola via troppo rapida,

quasi che il regista desiderasse liberarsene il prima possibile, per poter

tornare in fretta al proprio esercizio di stile. Impronta che andrebbe benissimo per la breve pubblicità dei televisori al plasma, ma che diventa insostenibile già in un corto, figuriamoci in un film.

In due ore e mezza dedicate quasi unicamente ai personaggi, solo tre figure emergono faticosamente dall'anonimato, i tre protagonisti (Colin Farrell, Christian Bale e Q'Orianka Kilcher). Nulla di trascendentale, giusto un barlume di spessore.

Il mio consiglio è di lasciar perdere: l'ottima fotografia non può valere la raffica di sbadigli che vi sommergerà.