Un’ultima notazione: Giovanna d’Arco non era molto socievole con le donne e certamente non una femminista ante-litteram: non volle altre donne nell’esercito e scacciò il seguito dell’armata, quel codazzo di mercanti, vivandiere, lavandaie, sarte e prostitute che abitualmente seguiva le armate medievali nei loro spostamenti.

Un breve accenno lo merita Lakshmibai, sovrana del principato di Jhansi, nel nord dell’India. Una storia molto simile a quella di Budicca: avendo solo un figlio adottato, quando rimase vedova gli Inglesi si impadronirono del suo dominio. Tentò anche la via legale senza successo e infine appoggiò la rivolta del 1857, che venne repressa con fatica dagli Inglesi. Non mancarono alcune battaglie dove Lakshmibai, il cui coraggio fu ammirato anche dagli avversari, guidò anche delle unità militari composte di donne.

Questa eroina indiana morì in battaglia. Alcune testimonianze vogliono che avesse offerto di stipulare con il nemico una pace separata se in cambio i diritti di suo figlio fossero stati riconosciuti. Nonostante ciò, è una figura simbolo del nazionalismo indiano.

Donne di potere

Prima di proseguire riconosciamo alcune caratteristiche comuni in alcune di queste donne che hanno combattuto: innanzitutto la personalità forte o fanatica, in secondo luogo un attaccamento feroce a una causa o a una o più persone. I diritti dei figli innanzitutto, o il successo dei mariti, come farebbe una donna qualsiasi. Ma anche la patria e il popolo. Un altro particolare salta all’occhio: le donne che hanno combattuto erano spesso nobili (salvo il caso veramente eccezionale di Giovanna d’Arco, un’eroina veramente poco spiegabile senza ricorrere alla religione), pertanto libere di muoversi e superiori alla massa del popolo, maschi inclusi. Così come nei casi di grossi gruppi di donne combattenti, la loro esistenza è resa possibile probabilmente dalla barbarie o dallo scarso inquadramento sociale: in società fortemente organizzate le donne sono state allontanate, quasi immancabilmente, dai campi di battaglia. E infatti la modernità ha fatto scomparire per un certo periodo la donna guerriera: l’era moderna infatti ha prodotto una divisione dei ruoli più drastica, burocrati di alto e basso livello che hanno allontanato le donne dai centri del potere, un potere che un tempo potevano agguantare se sapevano muoversi nel delicato ambiente di una corte.

La Regina Vittoria ad esempio, al centro di un impero immenso, sicuramente otteneva che qualcosa venisse fatto semplicemente per il suo volere, ma in una monarchia parlamentare, come era ormai quella inglese, non aveva la possibilità di imporre un volere assoluto. In realtà, nemmeno la possibilità di complottare per migliorare la propria posizione, come aveva fatto secoli prima, senza fortuna, Maria Tudor. Il potere era diviso tra diversi politici e affaristi, tutti maschi.

La modernità pertanto dapprima ha allontanato le donne dal potere e dai campi di battaglia. Tuttavia in un secondo momento l’avvento della macchina portò, durante le grandi guerre, la massa femminile nelle fabbriche: a conoscere la tecnologia e a condividere il destino dell’uomo, un lavoro salariato. Da lì non fu possibile cacciarle e così ebbe luogo una delle trasformazioni sociali che spianarono la strada alla parità delle donne, fino al riaffermarsi del diritto a scendere sul campo di battaglia.

Nella Russia sovietica le donne combattenti sono state numerose, durante la seconda

guerra mondiale: si trovavano nelle unità logistiche, di antiaerea e simili, e spesso sono finite per forza anche a combattere in trincea; non sono però state assenti dall’arma più “elegante,” l’aviazione, dove l’unità delle Streghe della Notte (caccia notturni) si guadagnò una certa fama tra gli avversari della Luftwaffe.

Il diritto a combattere conosce oggi ancora alcune limitazioni negli eserciti occidentali, a volte scritte, a volte sottintese: ma ha comunque portato (in conflitti recenti o ancora in corso) alla partecipazione, e alla morte, di molte donne in combattimento.

Completiamo adesso la nostra carrellata con gli esempi di alcune donne che non hanno visto la battaglia coi propri occhi, ma hanno rivestito tuttavia un grande potere politico.

Cleopatra, regina egiziana di cultura greca, avrebbe potuto essere menzionata nel precedente capitolo, tra le donne combattenti… se solo avesse fatto qualcosa di meglio che fuggire dalla battaglia di Azio quando la vittoria era ancora possibile. La sua ascesa al potere è una storia di tristissimi omicidi fra consanguinei. L’astuzia con cui ha cercato di mantenersi al trono manipolando i maschi conquistatori romani probabilmente non la rende simpatica né alle donne né agli uomini, e non ne fa certo una eroina.

Caterina I di Russia, una donna di umilissime origini il cui vero nome era Marta, entrò in servizio nella casa reale e riuscì a sposare Pietro il Grande, partecipando anche alla vita di governo in un periodo importante della storia russa. La storia di una giovane povera ma bella che diventa sposa di un potente non è eccezionale, ma Caterina I si distinse per aver mantenuto il potere una volta rimasta vedova, agendo di comune accordo coi nobili, e di averlo gestito con saggezza, prima di morire nel 1727. In quel periodo numerose donne si susseguirono al trono di Russia; la successiva fu Anna, il cui governo non fu però molto brillante: riuscì a farsi detestare, morendo per giunta senza eredi diretti.

L’imperatrice Elisabetta, figlia di Pietro il Grande fu una donna brillante ma irrequieta. guadagnò appoggi politici durante il regno della cugina, Anna, e alla sua morte rovesciò il successore, lo zar bambino Ivan VI, che finì per morire in prigionia. Elisabetta non ebbe una vita personale integerrima ma seppe barcamenarsi bene in politica interna e nel gioco delle alleanze europee; in buoni rapporti con gli Asburgo, lavorò per isolare la Prussia e si impegnò a fondo, nella guerra dei Sette Anni, per la rovina del suo nemico, Federico il Grande. La coalizione vacillava ma Elisabetta profondeva ogni sforzo per conseguire la disfatta del sovrano tedesco, che infine si vide perduto egli stesso. Ma nel 1762, con i soldati russi a Berlino, la guerra finì per la morte di Elisabetta. Forse è eccessivo collegare con un filo rosso la figura di Federico il Grande, attraverso l’imperialismo guglielmino, al revanscismo tedesco condotto da Hitler. Però è senz’altro suggestivo pensare quanto fu vicina una donna a spezzare l’imperialismo prussiano prima ancora che nascesse.