Un gruppo di persone eterogeneo viene convocato in quanto sono tutti discendenti di una sola donna, Adèle Meunier (Suzanne Lindon), che aveva vissuto parte della sua vita nella spumeggiante Parigi di fine ottocento. I discendenti dovranno prendere possesso della casa in cui ha vissuto la donna, disabitata dal 1944, e decidere se vendere casa e terreno a un'impresa che sta costruendo in zona un centro commerciale che dovrebbe inglobare proprio quell'area.
Quattro rappresentanti del gruppo (un apicoltore, una donna in carriera, un docente di francese e un fotografo videomaker) entreranno nella casa e scopriranno pian piano dettagli sulla vita della donna. Ma noi spettatori avremo un vantaggio sui protagonisti del film perché parallelamente alla loro scoperta, il montaggio di I colori del tempo, diretto da Cédric Klapisch, ci mostrerà la vita di Adèle dalla partenza per Parigi fino al suo ritorno in Normandia, in un crescendo che ci immergerà nell'atmosfera di una città che all'epoca era nel pieno fulgore della Belle Époque. Parigi all'epoca era un crogiuolo di scienze e arti, in particolare stava nascendo l’Impressionismo, un movimento pittorico che avrebbe influenzato il concetto stesso di arte figurativa nel '900.
L'immersione nella vita di Adèle sarà per i discendenti non solo l'occasione di scoprire di più sulle proprie origini, ma per alcuni sarà anche l'occasione di crescita e illuminazione per la propria vita futura.
Klapisch ha già ricostruito la Parigi di fine '800 nel suo cortometraggio Ce Qui Me Meut, e si dice affascinato anche dell'estetica del periodo. Mettendo a confronto le due epoche vuole costruire un ideale ponte tra il presente e il passato, mostrando quanto di ciò che nacque all'epoca è presente ancora nelle nostre vite. Il cinema stesso, per come lo conosciamo oggi, mosse i primi passi a Parigi in quell'epoca.
Significativo in tal senso è il titolo originale, ovvero La Venue de l'avenir, ovvero L'avvento del futuro, proprio a ribadire lo scopo di Klapisch, ma come spesso capita con i film francesi viene tradito il titolo originale senza ritegno.
Va detto che il titolo italiano non è completamente fuori tema, perché rimanda un momento nel film in cui uno dei quattro eredi, un fotografo videomaker, si mette a confronto con le Ninfee di Monet sul piano estetico e cromatico.
Sul fronte visivo Klapisch gioca anche molto con il concetto di "Parigi stereotipata e turistica", e si mostra preciso nella ricostruzione d'epoca, ma anche un po' laccato e patinato. Ma la ricerca fotografica, mirata alla ricostruzione dei colori e delle atmosfere brillanti, è di sublime eleganza.
Per questo, sa amate l'arte, la ricostruzione onirica del mitica prima mostra degli impressionisti non potrà non emozionarvi, nonostante probabilmente alcune libertà che la sceneggiatura si prende nella cronologia degli eventi.
Alla fine del percorso che ci porta sia allo sviluppo dei personaggi contemporanei sia a scoprire il destino dei personaggi del passato, nonostante un pizzico di malinconia, si esce dal cinema con un sorriso.


















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