Blackmoor, Inghilterra, 1891. Lawrence Talbot (Benicio Del Toro) ritorna alla tenuta di famiglia, che aveva abbandonato anni prima, in seguito alla scomparsa del fratello, attaccato da un misterioso essere metà uomo e metà bestia. Riunitosi a suo padre (Anthony Hopkins), Lawrence conosce Gwen Conliffe (interpretata da Emily Blunt), futura sposa di suo fratello, che lo prega di indagare sull’oscura sorte dell’amato.

Dalla quest inizialmente proposta, si dipanano una serie di avventure che porteranno Lawrence a contatto con leggende gitane, psichiatri perversi e mostri brutali, salvo scoprire che il male più grande è quello più vicino e che ricordi d'infanzia sepolti contengono orribili verità.

The Wolfman, di Joe Johnston, ha una fotografia plumbea e oscura, le scenografie sono cupe e gli abiti si contraddistinguono per lo spiccato gusto vittoriano. L’accuratezza formale, a tratti manieristica – basti pensare all’impressionante serie di film plumbei e oscuri visti nell’ultimo periodo, da Dorian Gray a Sherlock Holmes  – non basta a sollevare una pellicola in cui il ritmo arranca e che si lascia vedere, ma non riesce a suscitare emozioni di alcun genere nello spettatore.

Seppur ricco di nomi importanti, il giudizio complessivo sul cast è penalizzato da Benicio Del Toro, che cerca di ammaliare con il suo sguardo tenebroso, ma risulta fuori parte e inespressivo; Anthony Hopkins è bravo ma dall'interprete di Hannibal Lecter si poteva giustamente pretendere di più. Buona interpretazione invece per Emily Blunt, brava in ruoli comici (era la Emily del Diavolo veste Prada) come in ruoli ‘seri’ (come in questo caso) e per re Elrond/agente Smith/Hugo Weaving, ottimo 'avversario' di Del Toro.

Nonostante le pecche, buona la colonna sonora della pellicola, curata da Danny Elfman, che riesce a sottolineare i momenti di azione, che non mancano durante lo svolgimento della trama. Ben fatti anche gli effetti speciali, curati da Rick Baker – vincitore di 6 premi Oscar e curatore di altre trasformazioni ‘bestiali’ come quella di David Naughton in Un Lupo Mannaro Americano a Londra – e, in generale, la ricostruzione della Londra vittoriana, seppure manierista, ha la sua efficacia.

Nonostante tutto, The Wolfman non lascia niente allo spettatore: né la ricercata suggestione di un incubo gotico, né l’accurata ricostruzione degli ambienti inglesi di fine Ottocento e i paesaggi della brughiera riescono a far nascere quel quid necessario ad ogni buon film. Sintetizzando,

The Wolfman potrebbe essere definito come uno Sherlock Holmes non divertente e un Van Helsing che si prende troppo sul serio.